sabato 8 ottobre 2011

L'Amore Che Resta (voto 8) IL FILM DEL MESE

Gus Van Sant non è certamente nuovo ad esplorare l'età della giovinezza nei suoi aspetti più difficili e traumatici. Uno spartiacque netto della sua filmografia è stato 'Elephant', col quale ha inaugurato un percorso sulla relazione tra adolescenza e morte che porta il suo compimento nell'ultimo 'L'amore che resta'. Se nelle prime due opere che hanno affrontato questo tema l'Adolescente si trovava a relazionarsi alla morte in maniera volontaria (in 'Elephant' l'omicidio doloso, in 'Last Days' il suicidio), nelle ultime Van Sant analizza l'Adolescente di fronte alla morte come evento ineluttabile e incontrollabile (in 'Paranoid Park' l'omicidio colposo, ne 'L'amore che resta' la malattia). La grande novità di quest'ultimo lavoro sta nel fatto che Van Sant non si limita più a descrivere le azioni e i comportamenti dei suoi giovani protagonisti rifiutando ogni tipo di giudizio sulle loro scelte ma appoggia esplicitamente il loro sguardo e le loro ragioni. 'L'amore che resta' ha un registro stilistico completamente diverso dai precedenti: un approccio caldo e affettuoso lontano anni luce dalla regia fredda e distaccata di 'Elephant'. E' evidente che Van Sant sia rimasto colpito da alcune delle nuove commedie sentimentali americane ('Juno' e 'Nick&Norah') e abbia voluto adottare in toto il loro universo indie. Dal look dei protagonisti all'utilizzo della colonna sonora, il regista americano utilizza non solo stilisticamente ma filosoficamente l'indie per coinvolgere lo spettatore nel (melo)dramma vissuto dai protagonisti. Nei precedenti lavori, infatti, dominava l'attitudine grunge sia da un punto di vista estetico ma soprattutto da un punto di vista esistenzialista: i protagonisti di 'Elephant' così come la rockstar Blake di 'Last Days' così come il ragazzo di 'Paranoid Park' erano pervasi da apatia e (auto)distruzione, attoniti e passivi di fronte al verificarsi degli eventi. Lo sguardo di Van Sant era rispettoso nei loro confronti ma si limitava a constatare. Ne 'L'amore che resta', invece, sono utilizzati gli stilemi dell'innamoramento del cinema più classico: lo spettatore è portato ad immedesimarsi in loro e questo è dovuto a una costruzione stilistica diretta a questo fine preciso. Nelle canzoni dei Death Cab For Cutie (per chi scrive, la band indie numero uno) l'amore, la malinconia e la morte sono temi ricorrenti e vengono ripresi da Van Sant in forma immaginifica. L'indie, infatti, non porta con sè una critica generazionale come il grunge, si rivolge alla forma privata dell'emotività. Non avendo, dunque, nemmeno una valenza politica, Van Sant lo utilizza come l'approccio ideale a un racconto d'amore, di adolescenza e di morte nel quale l'occhio sociologico è sostituito da quello dell'emozione. E così, il regista può non limitarsi a constatare ma può porsi nella maniera più assoluta dalla parte dei suoi protagonisti. A questo punto, preferirei evitare qualsiasi accenno allo sviluppo narrativo del film e alle sue scene romantiche e struggenti (donne, preparate i fazzoletti). Non credo che 'L'amore che resta' sia il capolavoro assoluto di un cineasta meraviglioso ('Paranoid Park, in particolare, aveva un'idea di cinema più ampia) ma sono convinto che abbia una forza popolare tale da farlo diventare uno dei film di riferimento di una generazione.

2 commenti:

  1. Emiliano Dal Toso questo film è ridicolo, noioso, terrificante. Non riesco a capire come possa esserti piaciuto.

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  2. Mi ricordo che mi era piaciuto molto. Più emozionante che bello, forse. Emiliano

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