10 - Rifkin's Festival - Woody Allen
Senile, autoreferenziale, pieno di omaggi cinefili non sempre giustificati. Qualche trovata un po' vecchiotta e riflessioni sull'esistenza già formulate. Pace. Woody se ne frega e gira il film che piace a lui, con le dinamiche relazionali che conosce e con il sarcasmo che morde sempre nei confronti di un presente ipocrita, tra pose d'autore e la consapevolezza che siamo tutti di passaggio. La fine è vicina, ma finché è possibile meglio rimandarla. Allora perché non innamorarsi di nuovo e lodare ancora una volta il cinema che amiamo?
9 - Una donna promettente - Emerald Fennell
Sceneggiatura di ferro premiata con l'Oscar e una Carey Mulligan perfida e geniale, in guerra dichiarata contro il genere maschile. Sbaglia però chi ha eletto l'opera prima della Fennell come un manifesto iper-femminista: è un ribaltamento dei cliché del "rape and revenge movie" e soprattutto una constatazione della degenerazione del conflitto tra i sessi. Feroce, a tratti sgradevole ed esagerato, ma è l'esempio di un cinema americano indie capace finalmente di scuotere e di creare dibattito, suscitando reazioni opposte.
8 - Jungleland - Max Winkler
Pugilato e dramma famigliare proletario: come vincere facile. Charlie Hunnam e Jack O'Connell interpretano due fratelli che si ribellano a un boss della malavita: un trionfo di quelle tipiche emozioni che incendiano i film di uomini sul baratro, costretti a combattere per la sopravvivenza. Tra nottati alcoliche e violente rese di conti, quello che rimane è sempre il romanticismo controverso che caratterizza il rapporto maschile di fratellanza.
7 - Pieces of a Woman - Kornél Mundruczò
Un dramma sull'elaborazione del lutto, costituito da un prologo di mezz'ora incentrato su un piano sequenza mozzafiato, un'autentica immersione nell'odissea di una donna che sta attraversando un parto complicato. I restanti cento minuti si soffermano invece sulla ridefinizione della personalità della protagonista, vittima dello sguardo e del giudizio delle persone che la circondano. Virtuosistico, profondo e anti-retorico, il risultato è un salutare pugno nello stomaco, una riflessione sul corpo e sull'identità femminile che non concede letture scontate. Magnifica Vanessa Kirby.
6 - Judas and the Black Messiah - Shaka King
Da una parte un leader, un poeta, un rivoluzionario; dall'altra un ladro, un doppiogiochista, un traditore. Recuperando la storia e la lotta di Fred Hampton, considerato un nemico pubblico per gli Usa da J.Edgar Hoover, il regista Shaka King fa emergere la centralità di un personaggio cruciale per le battaglie degli afroamericani, non soltanto per la parità razziale ma anche per un'equità sociale ed economica. E mescolando il thriller politico con il dramma interiore e psicologico del "Giuda" William O'Neal, celebra un riferimento fondamentale per il movimento del Black Lives Matter.
5 - Malcolm & Marie - Sam Levinson
Una coppia afroamericana fa esplodere le tensioni represse dopo aver partecipato a una serata di gala. Inizia così un gioco al massacro, pretesto per riflettere su femminismo e parità di diritti, ma anche sulle contraddizioni che accompagnano il processo creativo di un artista, influenzato dai propri rapporti personali. Messa in scena impeccabile, direzione degli attori favolosa, un'impostazione teatrale che si rende cinema grazie a una regia che sa evidenziare i sottotesti. E in più, un'intuizione folgorante sui generi possibili dell'era pandemica: il kammerspiel in casa, il catastrofico là fuori.
4 - Nuevo Orden - Michel Franco
Il ritratto di un Messico violento e disperato, devastato dal conflitto sociale, in cui la rivoluzione proletaria è indirizzata a scopo politico per un colpo di stato militare. Uno shock ideologico e visionario, dove gli elementi più efficaci sono il realismo e la potenza con cui la rabbia del popolo emerge durante uno sfarzoso matrimonio dell'alta borghesia. Una sorta di Joker realista, senza icone anarchiche, ma con lo stesso caotico disagio di un presente sempre più spaccato dalle differenze di classe e dalle ingiustizie.
3 - Bad Luck Banging or Loony Porn - Radu Jude
Benvenuti nel cinema post-pandemico, dove i personaggi girano con le mascherine e la messa in scena si adatta alle restrizioni sanitarie. Ne beneficiano la creatività e la sperimentazione: regia d'osservazione, pochade, saggistica, un ritratto surreale dell'ipocrisia che riguarda tutto il mondo che accede ai social network. Oltre a una riflessione sottilissima sul valore e sul senso delle immagini che ci circondano, dai filmini porno casalinghi all'orrore dell'estetica dei consumi. Disomogeneo e a tratti sgangherato, ma innovativo e dotato di sana follia.
2 - The Father - Florian Zeller
Adattamento di una pièce teatrale, realizzato su misura per la straripante bravura di un Anthony Hopkins dolente, straziante, smarrito. Una rielaborazione folgorante del cinema sulla vecchiaia, che filtra con le allucinazioni tipiche dell'horror e reinventa le confusioni del genere labirintico. Un'esperienza cinematografica che adotta il punto di vista di chi vive l'Alzheimer, attraverso una narrazione volutamente incoerente e contraddittoria. Impietoso e sorprendente, arricchito da un cast di contorno eccezionale.
1 - Un altro giro - Thomas Vinterberg
Quattro maschi etero di mezza età, mediamente annoiati, sperimentano su se stessi la teoria secondo cui nasciamo con un deficit di alcol nel sangue. Niente di più lontano da moralisti e bacchettoni: Vinterberg celebra la vita e i suoi aspetti più tragicomici, concentrandosi sull'inevitabilità dell'ingrediente alcolico nell'affrontarla. Non è un inno gratuito all'eccesso, ma un ritratto umano e compassionevole nei confronti di un'esistenza che può rivelarsi una gabbia, oppure una leggera danza ebbra di spensieratezza e di consapevolezza verso l'ineluttabile.
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