5 - La felicità degli altri - Daniel Cohen (voto 7)
Esempio di cinema francese medio borghese, ben scritto, ben strutturato, feroce al punto giusto. L'armonia di due coppie di amici s'incrina quando la più sottostimata del gruppo si rivela una talentuosa scrittrice, e diventa l'autrice di un bestseller: da quel momento, l'ipocrisia e l'invidia prendono il sopravvento e sbriciolano ogni tipo di legame autentico. Raffica di dialoghi, impianto teatrale, quartetto d'attori affiatato: con uno sforzo di originalità in più sarebbe potuto diventare un piccolo cult.
4 - Atlas - Niccolò Castelli (voto 7)
Elaborazione del lutto e faticoso ritorno alla vita da parte di una giovane scalatrice sopravvissuta a un attentato terroristico, che ha causato la morte di tutti i suoi migliori amici. Un film realizzato su misura per le sfumature drammatiche di Matilda De Angelis, attrice sempre più in crescita ed eclettica. Alcuni passaggi appaiono facili (il cambiamento dei rapporti nei confronti dell'altro), ma si apprezza la volontà di cercare uno sguardo intimo, che indaghi le fragilità e che sia privo di risposte consolatorie.
3 - Occhi blu - Michela Cescon (voto 7)
Esordio anomalo e ambizioso, che guarda alla scrittura dei "giallonoir" del primo Dario Argento e alle suggestioni notturne e psichedeliche di Nicolas Winding Refn. Nonostante alcune ingenuità e incongruenze, va premiato il coraggio di ignorare ogni compiacimento nei confronti delle mode di oggi del cinema di genere: niente estetica "da fumetto", ma lo sfondo di una Roma solitaria e deserta, dove si muovono personaggi tormentati senza una meta precisa. Sfoggio di abilità registiche e musica jazz: quando l'abito fa il monaco.
2 - Marx può aspettare - Marco Bellocchio (voto 8)
Il maestro Bellocchio di Bobbio, 81 anni, si dimostra ancora una volta lo sguardo più libero e sperimentale del nostro cinema: un documentario familiare, dove si dialoga con tutti i parenti che hanno vissuto e non hanno potuto impedire il suicidio dell'amato fratello Camillo. Un lavoro autoreferenziale e con un fine espiatorio ed esorcizzante, senza dubbio, ma anche una parafrasi di gran parte della filmografia del suo regista. Un saggio sul significato della parola "autore" e una riflessione, ironica e commovente, sull'impossibilità di separare pubblico e privato, la vita artistica con il proprio mondo.
1 - Estate '85 - Francois Ozon (voto 9)
Il senso di Ozon per l'estate: in francese été, che significa anche "è stato". Il melodramma definitivo dedicato alla stagione più calda e sfaccettata, da sempre compressa tra spensieratezza, passione e tragica fatalità. E il regista francese, a volte fin troppo proficuo, recupera molti temi del suo capolavoro Frantz, dall'elaborazione del lutto alla costruzione mentale dei sentimenti, dagli amori assenti alla necessità di fuggire dalle storie del passato. Un film dolente, in grado di flirtare con gli archetipi della leggerezza, tra canzoni dei Cure e travestimenti. Un nuovo fondamentale romanzo di formazione.
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