lunedì 11 aprile 2016

Il Pagellino: Cinemadays 2016

Veloce come il vento - Matteo Rovere 9: da appendere il poster sulle pareti della cameretta. Emozioni fuorigiri, personaggi iconici e indimenticabili, una grande storia famigliare tipicamente italiana ma raccontata con l'adrenalina del miglior cinema americano di genere e senza la retorica e il familismo nostrani. Matilda De Angelis è una vera e propria scoperta, Stefano Accorsi balza in testa nella classifica degli idoli assoluti: dopo il Leonardo Notte di 1992, il suo Loris detto "Ballerino" entra con prepotenza nell'immaginario collettivo.

Batman v Superman: Dawn of Justice 8: l'assalto frontale della DC Comics alla leggerezza e alla solarità della Marvel, un kolossal capace di raccontare lo spirito del tempo attraverso un universo cupo e soffocante. Due supererori sull'orlo di una crisi di nervi, che si fanno guerra tra di loro e che appaiono impotenti e disorientati di fronte al Male. Cadendo come soldati sul campo di battaglia, i nostri miti si trovano costretti a celebrare il funerale di Dio.

Mistress America - Noah Baumbach 8: dopo Frances Ha e Giovani si diventa, la conferma del talento di Noah Baumbach di ritrarre personaggi femminili sfaccettati e contemporanei, che si affannano per essere al passo coi tempi e che faticano a rinunciare ai propri obiettivi. Le donne del regista newyorchese sono come le sorelle di Hannah di Woody Allen: romantiche e imperfette, confuse e felici, ma nell'epoca dei social network.

La comune - Thomas Vinterberg 7: ossessionato dalle ipocrisie che si celano dietro ogni tipo di microcosmo collettivo, Vinterberg adatta i demoni borghesi di Festen alle comuni hippie degli anni Settanta, dove i tanto chiacchierati ideali sembrano essere molto meno interessanti delle questioni di corna. Sulla carta poteva essere un capolavoro, ma stavolta il "cuginetto" di von Trier non graffia a dovere e si limita a un ritratto di famiglia tanto divertente quanto innocuo.

Il condominio dei cuori infranti - Samuel Benchetrit 7: tra Jim Jarmusch e Roy Andersson, un altro insieme di solitudini, sperdute nella periferia francese. Tre frammenti di vita agrodolci, ma diversamente riusciti: diverte con garbo l'astronauta americano Michael Pitt, emoziona una splendida Isabelle Huppert sul viale del tramonto, mentre irrita l'infermiera Valeria Bruni Tedeschi possibilimente da doppiare. Cinema francese medio, gradevole ma dimenticabile.

Ave, Cesare! - Joel ed Ethan Coen 6: sembrano ormai perduti nel loro giochino metacinematografico e autoreferenziale i fratelli Coen, irresistibili nei visionari omaggi alla Hollywood di un tempo ma incapaci di saper parlare ancora di quello che stiamo attraversando. E così il loro cinema magnifico e nichilista si è ridotto a un teatrino, a un divertissement funambolico che sfiora soltanto filosofia e religione.

Un bacio - Ivan Cotroneo 6: un altro tentativo di fuggire dagli schematismi del cinema italiota, purtroppo riuscito a metà. Un teen movie tanto coinvolgente quanto ingenuo, che parla di bullismo e omofobia in maniera nobile e sensibile ma si perde in una sceneggiatura fragile e in un finale incomprensibile. A metà strada tra Noi siamo infinito e Il primo giorno d'inverno, ma con interpreti meno incisivi.

Love and Mercy - Bill Pohlad 6: un film inspiegabilmente spaccato a metà. Da una parte, un monumentale Paul Dano è un Brian Wilson meravigliosamente dolente, vittima del proprio genio, dei propri demoni e dei propri incubi; dall'altra, John Cusack è un attempato e un po' patetico Brian Wilson costretto a districarsi tra il tutore Paul Giamatti e un'irritante Elizabeth Banks. Restano le canzoni, tutte meravigliose.

Race - Il colore della vittoria - Stephen Hopkins 6: Jesse Owens è una delle figure sportive più epocali di tutti i tempi e la sua storia avrebbe meritato senz'altro un biopic meno convenzionale, più palpitante e con maggiore rigore storico. Imperdonabile la scelta di ritrarre Leni Riefenstahl come una filoamericana anti-regime, fasulle le titubanze di Owens di partecipare alle Olimpiadi. Ciononostante, alcuni passaggi hanno un buon sapore democratico e spielberghiano.

On Air - Storia di un successo - Davide Simon Mazzoli 5: nessuno, davvero nessuno sentiva il bisogno di un biopic su Marco Mazzoli, deejay e conduttore dello Zoo di 105, dove lo stesso Mazzoli interpreta se stesso. Non è un film, ma un documento sociologico, con momenti totalmente deliranti, spesso volgari e populisti. Eppure, si rischia di rimanere affascinati di fronte a un'autocelebrazione che non si prende sul serio e suona tutto sommato sincera.

La corte - Christian Vincent 4: un cinema anacronistico, girato come una puntata di Forum, che affida soltanto al costruitissimo personaggio di Fabrice Luchini tutto il suo potenziale. Visto a Venezia, mi sono chiesto come sia possibile che una pellicola del genere possa essere selezionata in un concorso festivaliero: l'abbruttimento dei tempi non risparmia nessuno.

Criminal - Ariel Vromen 4: un bel cast (la certezza Tommy Lee Jones, il ritrovato Kevin Costner, la bellissima Gal Gadot) e un regista reduce dall'ottimo The Iceman non riescono a dare interesse all'intreccio di un thriller sempre più improbabile e paradossale: la tensione latita e le potenziali riflessioni sull'attualità si traducono in un'occasione persa.

Una notte con la regina - Julian Jarrold 3: peggio della peggiore puntata di Downton Abbey, il cosiddetto film per signore che ci chiediamo davvero che senso abbia distribuire al cinema. Una regia svogliata più di un Tv movie su Retequattro alle due del pomeriggio, una protagonista fastidiosa e antipatica. E chissenefrega delle turbe sentimentali di una principessina annoiata.



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