venerdì 30 dicembre 2016

Riflessioni Spiazzanti: Guilty Pleasures

Senza guilty pleasures il cinema sarebbe meno interessante. I giudizi sarebbero ancora più uniformi di quanto lo siano oggi, arrivando a istituzionalizzare il pensiero unico, ovverosia la fine del dialogo, del confronto, ma anche del litigio e dell'indignazione, espressioni sempre più in via di estinzione di un'umanità autentica e indipendente. Da quando seguo il cinema non mi sono mai vergognato di amare un film, seppur sbertucciato dalla critica; nello stesso modo, non nascondo eventuali perplessità di fronte a un'opera acclamata e celebrata dalla maggioranza. Ma vado oltre: la vita senza guilty pleasures sarebbe molto più piatta. E le ragioni per cui ci si trova a difendere o a innamorarsi di un film di media fattura sono molto più personali rispetto a quelle per cui apprezziamo qualcosa che è diffusamente riconosciuta di alto valore artistico. Una delle mie pellicole del cuore degli ultimi anni è Questione di tempo di Richard Curtis, per la facilità con cui mi sono identificato nel protagonista interpretato da Domhnall Gleeson, un ventunenne che scopre dal padre che i membri maschi della loro famiglia possono viaggiare indietro nel tempo e rimediare alle occasioni perse. Non è possibile modificare il corso degli eventi nella vita reale, ma si può comunque cercare di rimediare agli errori commessi. Eppure, la grandezza del cinema è un'altra: quella di farti emozionare per storie che sono molto lontane dalla nostra vita di tutti i giorni. L'ho pensato dopo aver visto Dopo l'amore di Joachim Lafosse, che sarà dal 19 gennaio nei cinema ed è già uno dei miei film preferiti del 2017: è il racconto di un divorzio e delle emozioni che attraversa una coppia di genitori dopo che è finito l'amore, entrambi costretti a una convivenza seppur temporanea. Non ho mai convissuto, non ho figli e non ho mai vissuto una storia d'amore così importante come quella dei due protagonisti: ciononostante, mi sono commosso per una vicenda che non mi appartiene ma di cui ho percepito una sensibilità comune. Però penso anche a tanti finali di film di Woody Allen, come Hannah e le sue sorelle oppure Basta che funzioni, dove il trascorrere del Tempo ricuce le ferite emotive dei protagonisti, e le incomprensioni e le sofferenze appartengono magicamente a un luogo passato, per cui si può perdonare e di cui si può sorridere. Probabilmente ho un po' di confusione in testa. Volevo dedicare queste riflessioni spiazzanti a un elogio dei guilty pleasures, ma sono finito a parlare d'altro. Forse perché etichette e definizioni non hanno alcun senso.

Emiliano Dal Toso


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