lunedì 3 marzo 2014

Anteprima: Nymphomaniac

Nel cinema di Lars von Trier, c'è un dolore che appartiene non soltanto ai suoi personaggi ma che pervade le atmosfere, che invade ogni sfumatura. Lars è imprevedibile, pazzo, a volte di cattivo gusto. Eppure, la sua carica distruttiva è sempre congegnata all'interno di una struttura narrativa formidabile. Mai, però, come in 'Nymphomaniac' l'attenzione al congegno drammaturgico è tanto evidente, al punto da mettere in dubbio le certezze dei seguaci della sua poetica. Nessun altro lavoro di von Trier presenta così tante chiavi di lettura a livello psicologico e interpretativo, e nessun altro lavoro di von Trier ha mai avuto soluzioni registiche così raffinate ed eleganti. Sembra paradossale che ciò accada proprio nel film apertamente più provocatorio ma, tolte le scene erotiche (oneste, autentiche, mai gratuite), 'Nymphomaniac' è il capitolo più umano e complesso della filmografia del regista danese. Ho avuto la fortuna di aver visto i due capitoli a distanza di un giorno dall'altro e, seppur la visione complessiva sia risultata estremamente coerente e compatta, le conclusioni alle quali sono arrivato dopo il primo capitolo sono praticamente l'antitesi di quelle alle quali sono arrivato dopo aver visto anche il secondo. Lars, d'altronde, è così: beffardo, imprevedibile, in grado di ribaltare completamente i punti di vista. In grado di far suscitare simpatia per personaggi che, nel giro di un'inquadratura, diventano disgustosi. Oppure, in grado di rivalutarli completamente, di prendere le loro difese se, fino a quel momento, sembravano riprovevoli. Da un punto di vista strettamente cinematografico, 'Nymphomaniac' regala almeno quattro macro-sequenze di una forza visiva impressionante: due nella prima metà, due nella seconda. Ma, a differenza di 'Antichrist' e 'Melancholia', non ci sono suggestioni orrorifiche nè fantascientifiche: al centro, ci sono sempre il sudore, la fame, la solitudine, le voglie della protagonista Joe (interpretata dalla sorprendente Stacy Martin da adolescente e da una dolorosa Charlotte Gainsbourg da adulta). Quello che è il filo conduttore con i lavori precedenti, è il tema di fondo: l'alterità del genere femminile che, come la morte, non si può comprendere. Accusato di misoginia e di antisemitismo, Lars dà come l'impressione di volersi scusare con chi lo ha sempre maltrattato e rifiutato ma non è altro che un'illusione che viene violentemente svelata nell'incredibile, spiazzante finale. Lars continua a raccontare l'inconciliabilità della natura femminile con quella maschile e le loro incolmabili differenze. Quello che continua a interessargli è esplorare la sensorialità della prima, in grado di percepire anticipatamente la fine del mondo (vedi 'Melancholia'), e in grado di eccitarsi per la scomparsa dei propri cari (vedi una delle sequenze più belle e audaci di 'Nymphomaniac'). Dall'altra parte, viene ribadita l'inferiorità della seconda, la sua inettitudine di fronte all'impossibilità di avere un confronto pari con l'altro sesso. Rifuggendo come sempre ogni moralismo e ogni intellettualismo, 'Nymphomaniac' è un altro capolavoro di un cineasta immenso che, come nessun altro, rappresenta sullo schermo la forza dell'umanesimo e l'importanza della libertà di espressione.

Emiliano Dal Toso


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