American Sniper 5: il film con il quale Clint Eastwood contraddice se stesso, rinnegando le parole che venivano pronunciate in Flags Of Our Fathers, ovverosia che "gli eroi non esistono". Una celebrazione agiografica di un eroe di guerra, nella quale viene abbandonato qualunque tipo di chiaroscuro. In fondo, il Chris Kyle di Bradley Cooper non è altro che lo stereotipo dello yankee col cappellino tutto moglie, hamburger e partite di football che, tornato dallo scontro a fuoco, ha ancora bisogno delle armi per sentirsi vivo.
Birdman 5: il desiderio di compiere un componimento cinematografico jazzistico, articolato in lunghissimi ed estenuanti piani sequenza, si rivela soltanto l'ennesima dimostrazione di Inarritu di un autocompiacimento fine a se stesso, che utilizza come pretesto il tema della crisi dell'attore senza svilupparlo, e che cerca disperatamente la scena o la battuta a effetto. Pare ormai chiaro che il regista messicano sia più interessato allo stordimento dello spettatore che al suo coinvolgimento.
Boyhood 9: un indimenticabile coming-of-age, che prende di petto la richiesta di identificazione, ponendo l'interrogativo se il Cinema possa essere uno specchio fedele dell'esistenza, oppure se le necessità di sintesi narrativa debbano prendere il sopravvento. Il risultato è un miracolo cinematografico, affidato alla Storia che deve ancora essere scritta, ma che lascia spazio all'emozione: le giornate del giovane protagonista trascorse con papà Ethan Hawke o con mamma Patricia Arquette possiedono il dono dell'autenticità, e della lacrima.
Grand Budapest Hotel 5: l'involuzione manierista di Wes Anderson. Un'opera prefabbricata, richiesta a uso e consumo da un pubblico sempre più propenso a divertirsi per le stramberie e per le cazzatine scenografiche ma sempre meno in grado di vivere un'esperienza cinematografica consistente. Eppure, può vantare molti sostenitori che si sono esaltati per i riferimenti letterari e pittorici. Il numero eccessivo di attori eccellenti soccombe alla totale mancanza di contenuti.
The Imitation Game 7: un biopic dalla confezione elegante, politicamente corretto, sorretto da un cast impeccabile (Cumberbatch e la Knightley su tutti). Peccato che non abbia il coraggio di addentrarsi in maniera più specifica negli aspetti più scientifici degli studi di Alan Turing e si soffermi eccessivamente sulle questioni relative alle sue preferenze sessuali. Non mancano frasi a effetto, né scene madri, ma a differenza dei film su Kyle e su Hawking non si ha l'impressione di essere di fronte alla celebrazione di un santo.
Selma 4: Precious, The Help, Django Unchained, Lincoln, 12 anni schiavo. Da quando le nomination per miglior film si sono allargate fino a un massimo di dieci, la comunità afroamericana deve sentirsi rappresentata almeno da una pellicola. Questo deve succedere anche se ci si trova costretti a sostenere un lavoro incredibilmente compassato, didascalico, cronachistico. Un'interminabile lezioncina di Storia, presente soprattutto per ragioni politiche, in modo particolare dopo le rivolte di Saint Louis.
La Teoria Del Tutto 6: la sufficienza è dovuta alla stupefacente interpretazione di Eddie Redmayne, che da solo regge in piedi il film nei panni di uno Stephen Hawking capace di non perdere ironia e brillantezza intellettuale anche nelle condizioni più drammatiche. Chi si aspettava, però, un appassionato racconto non privo di chiaroscuri del genio dell'astrofisico e matematico rimarrà profondamente deluso: anche in questo caso le ruffianerie sentimentali devono prevalere, tediandoci con una patetica storia d'amore.
Whiplash 9: la grande sorpresa di questi Oscar. Un racconto di formazione furente, che riflette sull'impossibilità di non rinunciare agli aspetti più lievi e superficiali della vita, dovendoli sacrificare con l'applicazione e con la tensione costante di riuscire a realizzare i propri sogni. Storia di un rapporto a due tra maestro e allievo, tra padre e figlio, tra carnefice e vittima, sulle note di un pezzo jazz nervoso e sincopato. Assolutamente clamorosi Miles Teller e JK Simmons, favorito tra gli attori non protagonisti.
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