Maccio Capatonda è un mostro. Con l'esordio sul grande schermo di 'Italiano Medio', prende chiaramente le distanze dalla comicità italiota che ha invaso le sale negli ultimi tempi: non c'è alcuna traccia nel suo approccio cinematografico di collusione nazionalpopolare, di ambigua complicità, di sordida approvazione. Il comico abruzzese mostra senza alcuna reticenza maschere estreme, portate all'esasperazione. In questa maniera, evita qualsiasi tipo di possibile identificazione da parte dello spettatore, solitamente abituato ad assolvere i personaggi delle commedie italiane, perché in fondo bonaccioni non troppo diversi da lui, tanto cialtroni quanto simpatici e divertenti: partendo dai cinepanettoni con Boldi e De Sica per arrivare agli ultimi film con Checco Zalone, la risata è scatenata esclusivamente dalle semplici gags, dalle singole battute. Niente di male, dal mio punto di vista. Capatonda, invece, rinuncia immediatamente al bisogno di approvazione e realizza un'opera nuova, sgradevole, tanto disgustosa quanto perfettamente indovinata. Nell'universo di 'Italiano Medio', tutti sono dei freaks prigionieri del proprio modo di essere, ingabbiati nel proprio status, etichettati dalle scorciatoie utilizzate dai mezzi di comunicazione. Nessuno ha la possibilità di evolversi e di rinunciare alla propria macchietta. Il protagonista Giulio Verme viene presentato come un'estremizzazione di un Nanni Moretti ante litteram ossessivo-compulsivo ed eco-ambientalista, animalista e vegano, capace di eccitarsi soltanto con il Protocollo di Kyoto e interessato esclusivamente alla raccolta differenziata o alla "salvaguardia dei babbuini". Nel corso della vicenda, si trasformerà, appunto, in una sorta di Checco Zalone all'ennesima potenza, ignorante, burino, che non ha altri obiettivi al di fuori di "scopare" e di vincere al talent show di 'MasterVip'. Chiunque, in fondo, potrebbe sentirsi chiamato in causa: innanzitutto, il sinistrorso che rifiuta il mondo del genocidio intellettuale post-berlusconiano; eppure, ancora peggio va all'anti-intellettualismo di bandiera, che esalta la mancanza di pretese, la più totale assenza di contenuti all'interno di un Paese che ha perduto ogni punto di riferimento morale e culturale. Qualsiasi punto di vista si possa assumere, il ritratto che viene fuori da 'Italiano Medio' è deplorevole e drammaticamente reale. E non è certamente un caso che ciò sia stato possibile proprio grazie alle armi del grottesco, del surreale e della deformazione dell'individuo, nel momento in cui esse non sono scelte narrative fini a se stesse (a differenza dei pessimi film de 'I soliti idioti') ma si rivelano funzionali alla costruzione di un insieme che rifiutiamo possa essere l'Italia ma che ci rendiamo conto possa assomigliargli così tanto. Il risultato è che a volte la risata esploda in maniera fragorosa (come in tutta l'esilarante sequenza nella discoteca Just Caviale, nella quale Verme entra spacciandosi per l'ex calciatore del Milan Ruud Gullit), altre volte sia trattenuta da un senso di imbarazzo (come in quella della finale del talent show di 'MasterVip', nella quale un concorrente viene eliminato perché incapace di resistere alle pietanze della mamma). Ad ogni modo, Maccio Capatonda è un mostro. E un genio.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso
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