lunedì 1 settembre 2014

Genealogia Di Una Passione

La mia passione per Fernando Torres nasce dall'innamoramento per una ragazza spagnola, Macarena, che mi chiese se sapevo chi fosse. Su di lei mi aveva anticipato un mio amico, Federico, che avevo conosciuto in Inghilterra a Ramsgate, uno di quei brutti paesini sul mare dove vanno gli adolescenti in estate per imparare l'inglese. Federico doveva tornare a Milano una settimana prima di me e temeva l'arrivo di un gruppo di ragazzi di Valenza, dall'elevatissimo tasso tamarro, ma in fondo bonaccioni. <<Questi valenzani fanno un po' troppo gli splendidi. Mi raccomando, Emi, curamela.>> Federico era del tutto ignaro del fatto che i sentimenti che provavo per la mora Macarena erano gli stessi che provava lui. In realtà, Macarena non filava di striscio la compagnia di Valenza e, una volta partito Federico, mi si appiccicò. Passai una settimana indimenticabile e terribile, di vero struggimento, in tensione costante tra il desiderio di baciarla e lo spettro del tradimento nei confronti dell'amico. Maca era davvero eccezionale, bellissima, simpatica, con una marea di interessi, ed era tifosissima dell'Atletico Madrid. Una sera le chiesi se era innamorata di Federico e lei mi rispose che l'unico ragazzo che amava si chiamava Fernando Torres. Io rimasi piuttosto sorpreso, era la prima volta che, nel dialogo con una ragazza, non fossi io ad introdurre la questione "calcio". <<Do you know Fernando Torres?>> Le dissi che Torres lo conoscevo perchè il Milan stava per acquistarlo due anni prima ma poi aveva preferito comprare Kakà. A dire il vero, non lo avevo mai visto giocare, il Torres, perchè all'epoca l'Atletico era una squadra che navigava a malapena a metà classifica e guardare la Liga spagnola mi annoiava terribilmente. Alla fine, con Macarena non ci fu nient'altro che un fugace bacio d'addio. Mi congedai da lei con un melodrammatico 'I won't forget you', non ti dimenticherò. Fece una smorfia strana. Il giorno dopo, durante il viaggio di ritorno, mi tormentai, perchè mi resi conto del fatto che probabilmente aveva capito 'I want forget you', ovvero voglio dimenticarti.

Una volta tornato a Milano, nell'illusione di tenere vivo una sorta di contatto virtuale con Macarena, mi buttai a capofitto sulla Liga spagnola e sull'Atletico Madrid. Cominciai a guardare quasi tutte le partite dei colchoneros. Ovviamente, i miei occhi erano puntati soprattutto su Fernando Torres, l'unica persona al mondo in grado di conquistare il cuore di Maca. Correva la stagione calcistica 2005-2006 e l'Atletico Madrid era Fernando Torres detto "El Nino" di Fuenlabrada, comune della comunità autonoma madrilena, anni ventuno, perdutamente innamorato della maglia e dei suoi tifosi, e indubbiamente ricambiato. Quella stagione consacrò definitivamente Torres tra i top player mondiali, ed "El Nino" fu l'uomo di punta della spedizione spagnola ai Mondiali in Germania, eliminata però agli ottavi dalla Francia finalista. L'anno successivo, Torres si confermò e venne acclamato dalla stampa come uno dei centravanti spagnoli più forti di sempre. Nel 2007, il Liverpool acquista Torres dall'Atletico per 26 milioni e mezzo di sterline, decisamente ben spesi. "El Nino" fa letteralmente impazzire di gioia i tifosi della Kop, segna sempre. E fa quasi sempre gol bellissimi. Rimane Red per tre anni e mezzo, durante i quali colleziona in Premier League un centinaio di presenze e mette a segno la bellezza di 65 reti. Paradossalmente, Torres nel Liverpool non vince niente. E' il fuoriclasse di una squadra di onesti, buoni giocatori, mai eccelsi. Nel periodo migliore della sua carriera, tra i 23 e i 26 anni, nel suo palmares c'è soltanto l'Europeo vinto con la Spagna, deciso tra l'altro da un suo gol nella finale contro la Germania. Dopo una serie di infortuni nella prima parte del 2010, che gli impediscono di essere protagonista nel Mondiale vinto dalla Spagna in Sudafrica, parte col botto nella stagione successiva, segnando 11 volte in meno di tre mesi. Nel gennaio del 2011, il Chelsea di Roman Abramovich lo acquista per il corrispettivo di 58 milioni e mezzo di euro, il trasferimento più costoso nella storia del calcio inglese. E smette di segnare. Nei sei mesi da gennaio a giugno, va in rete una volta sola, contro il West Ham, in 18 partite. Sembrerebbe che il blocco sia dovuto solo allo shock per aver abbandonato la maglia del Liverpool ed i tifosi che lo adoravano. E invece no. Dal 2011 al 2014, lo score di Torres è di 20 gol in 110 partite di Premier League. Una miseria. La stampa che lo acclamava si fionda contro di lui, lui entra in un circolo vizioso, più cerca il gol e più sbaglia clamorosamente. Non è soltanto la "pochezza" di reti il vero problema, ma il fatto che sembra di vedere il fratello scarso del Torres di Liverpool: lento, impreciso, svogliato. Il termine che viene maggiormente utilizzato è quello di "paracarro". Il destino è beffardo e nel Chelsea il palmares si arricchisce: una Champions League, un Europa League e una Coppa D'Inghilterra. La vera stranezza, però, è che 2 gol siano decisivi: uno nella semifinale di ritorno di Champions contro il Barcellona, l'altro nella finale di Europa League contro il Benfica. Nel 2012, inoltre, si riconferma campione d'Europa con la Spagna, in una Nazionale che ha come uomini chiave Xavi, Iniesta, Fabregas, Pedro, Xabi Alonso. Lui serve più che altro a raggiungere il numero minimo di ventitré calciatori necessari da convocare per una manifestazione come l'Europeo.

Per il sottoscritto, Fernando Torres è stato il centravanti più forte e completo degli Anni Duemila. Potente, veloce, tecnico. Un numero 9 fisico, che sa essere soffice come un numero 10, quand'è necessario. Non è un caso che il giocatore che lo abbia fatto avvicinare al calcio e ad innamorarsi del mestiere del centravanti si chiamasse Marco Van Basten. Quando era all'Atletico, dichiarò che non avrebbe mai abbandonato i Colchoneros per trasferirsi in un'altra squadra spagnola e che le uniche due squadre europee per le quali avrebbe potuto sacrificare il suo amore per la maglia sarebbero state il Liverpool e il Milan. La prima per la Kop: lascio l'Atletico soltanto per la tifoseria più calda, appassionata, commovente che possa esistere. La seconda per Van Basten, appunto: lascio l'Atletico solo per il club del campione che avrei voluto essere.

Eppure, non sono puramente calcistiche le ragioni per cui Fernando Torres non è un calciatore come gli altri. Si può cominciare dal suo soprannome, "El Nino", il bambino, all'apparenza non troppo originale, dovuto al fatto di essersi affacciato dall'Atletico Madrid nel calcio spagnolo da giovanissimo, a diciassette anni. E malgrado l'avanzare dell'età, Fernando Torres è rimasto e rimarrà sempre "El Nino". Per i tratti somatici gentili, innanzitutto, che lo fanno sembrare un adolescente anche a 30 anni. Il suo volto non sembra quello di un calciatore, ma piuttosto quello di un cantante di una boy-band americana, oppure quello di un protagonista belloccio di un college movie della Disney. Per il fatto che i feticci della sua adolescenza se li sia voluti tatuare sulle braccia: sul sinistro, il suo nome in tengwar, la lingua parlata dagli Elfi ne 'Il Signore Degli Anelli', il libro del cuore della sua infanzia; sul destro, la data del suo primo bacio, con la sua prima fidanzata Olalla, la donna della sua vita, diventata poi sua moglie e madre dei suoi bambini.

Durante questi anni, ho seguito il calcio e ho sempre tifato per Fernando Torres. Conversando con gli amici, mi si illuminano gli occhi e mi sorge un sorriso spontaneo, inevitabile, quando parliamo della sua carriera, delle sue prodezze e della sua caduta. E' passato nella Storia degli orrori del calcio un suo errore con il Chelsea a porta vuota, dopo aver superato il portiere, con il pallone finito a un paio di metri di distanza dallo specchio. Riguardandolo, mi rendo conto che davvero chiunque avrebbe calciato in rete, anche i miei nonni, anche il compagno di classe delle elementari più scarso e brocco che si possa trovare. Mi piace pensare che sia stato l'errore romantico di un ribelle buono, di un calciatore che è stato meraviglioso e non ha vinto niente, o quasi, e che, invece, ha cominciato a vincere tutto quando, strapagato, è stato il peggiore in campo.

Durante questi anni, ho avuto modo di dimenticare in fretta la vicenda di Macarena e Federico e di innamorarmi di una ragazza almeno un altro paio di volte per poi dimenticarmene nuovamente. La mia passione per "El Nino" è sempre rimasta intatta, sullo sfondo, sia quando dopo aver segnato correva verso la Kop a braccia aperte e si buttava sull'erba, sia quando veniva fischiato a Stamford Bridge dopo gli errori a porta vuota. Ora, a 30 anni, Fernando Torres approda al Milan, sperando di chiudere il periodo più buio della sua carriera e di tornare lo strepitoso centravanti di Madrid e di Liverpool. Cercherò di evitare la banalità secondo cui il Milan in crisi potrebbe essere il luogo ideale per rilanciarsi, senza illudersi ovviamente che possa tornare quello di un tempo. Voglio illudermi. Se dovesse essere così, significherebbe che saremmo davvero di fronte alla trama di un libro fantasy, o alla sceneggiatura di un film della Disney, quelli nei quali niente è impossibile ed i buoni vincono perchè loro sono i romantici, perchè loro sono gli eroi. Se non dovesse essere così, per quanto mi riguarda, saremmo comunque di fronte a un lieto fine.

Emiliano Dal Toso



giovedì 21 agosto 2014

Anteprima: Boyhood

Chi segue da un po' questo blog potrebbe essergli capitato di leggere il post nel quale illustravo i dieci film che detesto di più, tra i quali al secondo posto compare il celebre Prima Dell'Alba di Richard Linklater. Osannato da molta parte della critica e considerato da alcuni un cult generazionale (per alcuni è il film del cuore, per alcune coppie il film della vita), lo recuperai qualche anno fa, sorprendendomi che lo sceneggiatore non fosse lo stesso che scrive le frasi sui bigliettini dentro ai Baci Perugina. Verboso, ampolloso, quel tentativo di raccontare l'amore in pochissime ore è rimasto, per fortuna, uno scivolone isolato nella carriera del regista americano. Cineasta, per il resto, curioso (Dazed and confused), anticonformista (School Of Rock), sperimentatore (Waking Life), che nell'ultimo Boyhood giunge al compimento pieno della sua poetica, racchiudendo un po' tutte queste caratteristiche. Infatti, dal 2002 al 2013 Linklater ha chiamato sul set ogni anno per pochi giorni lo stesso gruppo di attori per raccontare l'infanzia e l'adolescenza di Mason, interpretato da Ellar Coltrane, che ha iniziato il film a 8 anni e lo ha terminato a 19, andando di pari passo con la crescita del suo personaggio. Lo stesso vale per gli altri attori del film, Ethan Hawke e Patricia Arquette nel ruolo dei genitori di Mason, e la figlia del regista, Lorelei Linklater, in quello della sorella. Niente viene affidato al trucco, l'invecchiamento che vediamo sullo schermo è quello che si portano dietro gli interpreti stessi. Così come gli eventi storici che fanno da sfondo alla vicenda sono quelli contemporanei a quando è stata girata la pellicola, come ad esempio la campagna elettorale di Obama del quale il padre di Mason è un grande sostenitore. Se quello che rimproveravo a Prima Dell'Alba era l'assenza di una vera trovata, di un guizzo, di un graffio narrativo che vivacizzasse il contesto, in Boyhood questa mancanza risulta essere, invece, l'arma vincente, l'unica possibile di fronte a una sfida di questo calibro: le difficoltà che è costretto a dover affrontare il giovane protagonista sono quelle che potrebbe aver vissuto chiunque, dalla traumatica separazione dei genitori al difficile rapporto con i loro nuovi rispettivi compagni, dai primi turbolenti innamoramenti fino al conseguimento del diploma. Quante volte si potrebbe aver pensato che sarebbe bello vedere un film con i momenti salienti della propria esistenza, una sintesi con le parti noiose tagliate. Ecco, Boyhood è un po' questo, un coming-of-age che prende di petto il desiderio di identificazione dello spettatore, ponendo inevitabilmente l'interrogativo se il cinema possa davvero essere uno specchio fedele della vita, oppure se le necessità narrative debbano prendere forzatamente il sopravvento. Linklater si è ciecamente affidato all'ignoto, alla Storia che deve ancora essere scritta, prendendosi il rischio di girare a volte a vuoto, ma offrendo alcuni passaggi struggenti, di una intensità assoluta: le giornate di Mason trascorse insieme al padre a giocare a bowling o alle partite di baseball, i discorsi di sua madre sull'inevitabilità dell'abbandono e della perdita possiedono il dono magico dell'autenticità, e della lacrima.





giovedì 24 luglio 2014

Top Ten Gli Inediti 2013-2014

10 - Vivir Es Facil Con Los Ojos Cerrados - David Trueba
Fresco vincitore degli ultimi Goya, visto al Festival del Cinema Spagnolo, racconta il viaggio di un insegnante fan di John Lennon alla ricerca del suo idolo, mentre è in Almeria per girare un film contro la guerra. Trascinante interpretazione di Javier Camara, il titolo è tratto da una strofa di Strawberry Fields Forever, una delle più belle e conosciute canzoni dei Beatles.

9 - Night Moves - Kelly Reichardt
Presentato in concorso all'ultima Mostra di Venezia, è una nuova prova incisiva di Kelly Reichardt, regista americana mai approdata sui nostri schermi, malgrado gli eccellenti Wendy And Lucy e Meek's Cutoff. Night Moves indaga le gesta di tre ambientalisti disposti ad azioni eclatanti ed è sorretto da una prova magnetica di Jesse Eisenberg e da una sceneggiatura solida e avvincente.

8 - All Is Bright - Phil Morrison
Non ha avuto molta fortuna distributiva, ed è un peccato perchè è il raro esempio di una pellicola americana proletaria, nella quale due fuoriclasse del genere come Paul Giamatti e Paul Rudd danno il meglio di sè, improvvisandosi improbabili commercianti di alberi di Natale con l'esclusivo desiderio di tirare a campare. Consigliatissimo agli amanti della bromantic comedy.

7 - La Bataille De Solferino - Justine Triet
Presentato al Festival di Torino, candidato come miglior pellicola agli ultimi Cesar e segnalato dai Cahiers du Cinema tra i dieci migliori film dell'anno passato, è un'opera prima vivacissima in perfetto equilibrio tra pubblico e privato, tra dramma famigliare e commedia degli equivoci. L'esempio di come la commedia francese sia irraggiungibile da quella italiana, per scrittura, intelligenza e analisi sociale.

6 - Stray Dogs - Tsai Ming Liang
Vincitore del Premio della Giuria all'ultima Mostra di Venezia, è il ritratto interminabile ed estenuante di una famiglia di derelitti, nella quale il padre è un alcolista che lavora come reggicartello umano in mezzo all'autostrada. Una sfida visionaria, che alterna passaggi patetici ad altri entusiasmanti, firmata da un cineasta da difendere, che concepisce la Settima Arte come la più alta forma di libertà di espressione.

5 - Las Brujas De Zugarramurdi - Alex de la Iglesia
Dovrebbe uscire sui nostri schermi il prossimo autunno, salvo ripensamenti, il nuovo capitolo del regista più violento e immaginifico in circolazione, un vero punk dalla poetica iconoclasta e politicamente scorretta. Dopo il capolavoro Balada Triste De Trompeta e l'eccellente La Chispa De La Vida, ci troviamo in territori più orrorifici e meno politici, più "di genere" ma sempre brulicanti di ardore per gli occhi.

4 - Tom A La Ferme - Xavier Dolan
Avremo senz'altro modo di vedere Mommy, il lavoro per cui Dolan ha vinto il Premio della Giuria a Cannes, ma pare che non verrà distribuito, invece, Tom a la ferme per cui è stato applauditissimo all'ultima Mostra di Venezia. Continui ribaltamenti di ruolo, complessi edipici, sindromi di Stoccolma, omosessualità esplicita e latente. La carne al fuoco è tanta, ma l'enfant prodige sa gestirla con assoluta carica emotiva.

3 - Prince Avalanche - David Gordon Green
Ecco un altro di quegli autori d'Oltreoceano colpevolmente dimenticati dalla distribuzione italiana, che pone al centro del suo discorso un America ai margini, fatta di personaggi perdenti ma romantici, alle prese con alienazioni che possono essere compensate soltanto da piccoli gesti di inconfondibile solidarietà maschile. Nuovamente, un meraviglioso Paul Rudd è la spalla perfetta per un Emile Hirsch uscito frastornato dalle terre selvagge.

2 - Frances Ha - Noah Baumbach
Ritratto femminile indimenticabile di Noah Baumbach, quello di una romantica ventisettenne aspirante ballerina, all'alba della maturità individuale, abbandonata da tutte le certezze, dalla migliore amica e decisamente "infidanzabile". Un piccolo grande film di un autore sensibile e anticonvenzionale, leggero e agrodolce, presentato a Torino ma scandalosamente ignorato dall'Italia e dagli Oscar.

1 - The Spectacular Now - James Ponsoldt
Struggente racconto di formazione di un ventenne festaiolo e apparentemente spensierato, mollato dalla ragazza e gradualmente costretto a fare i conti con il passato e con i propri demoni. Parte come un American Pie ma il risultato è una pugnalata al cuore, un futuro cult generazionale impossibile da dimenticare, trampolino di lancio per i futuri divi Miles Teller e Shailene Woodley.




domenica 29 giugno 2014

I Magnifici Sette: Aprile - Giugno 2014

Nymphomaniac - Lars von Trier: ne abbiamo parlato tanto e, malgrado le critiche, continuiamo a difenderlo e a considerarlo l'opera cinematografica più importante del nuovo decennio. Non poteva avere un finale più beffardo e incisivo la trilogia del folle e provocatorio regista danese sull'alterità del genere femminile, che non si può comprendere, e sulla sua sensorialità. Il cinema di Lars rappresenta la forza devastante dell'umanesimo e l'importanza della libertà di pensiero e di espressione.

Locke - Steven Knight: un gigantesco Tom Hardy segue tre piste narrative differenti, tra calcestruzzo, amante di una notte che partorisce e moglie che lo abbandona. Il tutto è anticipato dal display telefonico dell'automobile, il vero protagonista della vicenda. Film unico, originale, scritto divinamente, che denota la grande difficoltà di decidere le sorti della propria esistenza al di fuori da ogni tipo di macchino o di dispositivo elettronico.

Alabama Monroe - Felix van Groeningen: grande film, dolente, romantico, Walk the Line e Blue Valentine, che passa meravigliosamente indenne di fronte ai ricatti del cancer movie. Struttura narrativa a incastro, essenziale per guardare nello specchietto retrovisore e recuperare i migliori passaggi della nostra Vita, anche quando pene e dolori prendono il sopravvento. Quel che rimane è nella passione, espressa nel (st)ruggente ritmo del bluegrass.

La Gelosia - Philippe Garrel: opera autobiografica nella quale l'autore francese ricorda le tormentate vicissitudini sentimentali di suo padre, attore trentenne scapestrato. Lo fa, però, con il suo senso per il cinema: raffinato, profondo, essenziale. Hic et nunc. Una capacità di sintesi narrativa impressionante, accompagnata dalla bellezza di un bianco e nero di gran classe. Menzione speciale per Anna Mouglalis, nel ruolo della donna prima perdutamente innamorata e poi perduta.

We Are The Best! - Lukas Moodysson: ritroviamo piacevolmente questo bravo regista svedese, autore di una decina d'anni fa di due titoli cult come Fucking Amal e Together. Qui racconta la vicissitudini di tre ragazzine con la passione per il punk durante i primi Ottanta, quando l'hardcore irrompeva e indicava una via di fuga per chiunque volesse ribellarsi ai dogmi delle istituzioni e delle famiglie borghesi. Si tratta di una commedia, ma sembra fantascienza nell'epoca in cui Modà e One Direction riempiono San Siro.

Maps To The Stars - David Cronenberg: il Maestro canadese recupera lo smalto freddo e agghiacciante dei tempi migliori e ritrae un ambiente hollywoodiano senza speranza, putrido, nel quale non c'è interesse al di fuori del successo economico e della prevaricazione e non esiste paura al di fuori dell'invecchiamento estetico. E mentre si assiste a tragedie familiari inumane, il tono rimane immobile e gelido, come se il punto di vista fosse quello dello smartphone.

Jersey Boys - Clint Eastwood: delude chi si aspettava il solito Eastwood politico e polemico, e invece è l'omaggio scorsesiano alle radici del pop, melodico e commerciale, agli anni Cinquanta, a quando non si andava a un reality show per non finire delinquenti o ammazzati in mezzo alla strada. Tutto pare provenire dal cuore, senza alcun vezzo registico, ma esclusivamente al servizio della musica, delle esibizioni dal vivo, di quello che rimane mentre tutto scorre. Walk like a man.


sabato 21 giugno 2014

Cannes e Dintorni 2014 - Seconda Parte: Clouds Of Sils Maria, Deux Jours Une Nuit

Anche quest'anno 'Cannes e dintorni' si è confermata essere l'occasione migliore per il pubblico milanese di godere di un cinema di livello alto, seppur la concomitanza con i Mondiali di calcio abbia costretto noi appassionati di pallone e di Settima Arte a fare, letteralmente, le acrobazie per perdere il meno possibile di questi eventi così spasmodicamente attesi. E le attese sono state ben ripagate, a cominciare dal meraviglioso 'Clouds Of Sils Maria' di Olivier Assayas (voto 10), scandalosamente dimenticato dalla giuria presieduta da Jane Campion. Si sfiorano tanti temi: la distanza tra generazioni, il rapporto tra finzione e realtà. Si pongono molte domande ma non si danno risposte nette: può darsi che il Teatro sia autentica rappresentazione della Vita, può darsi che l'immedesimazione in un ruolo rispecchi l'essenza dell'interprete. E la forza del regista francese è proprio quella di non forzare spiegazioni, ma di lasciare sospesa e nebulosa ogni chiave di lettura. Quello di cui si può essere certi è esclusivamente l'inevitabilità del punto di vista, l'irrinunciabilità alla prospettiva. E, soltanto in questo modo, non solo il Teatro, non solo il Cinema, ma ogni situazione dell'esistenza può essere elaborata: rinunciando al dovere dell'interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque momentanea e mutevole, inafferrabile e immateriale. Non si tratterebbe, però, di un capolavoro se non ci fosse una costruzione narrativa raffinatissima, "a orologeria". E, soprattutto, se non ci fosse una Juliette Binoche suprema, alla quale non sfigura accanto una (finalmente) bravissima, incantevole Kristen Stewart in un ruolo di un'intelligenza sottile ma incisiva. 'Clouds Of Sils Maria' è, fino ad ora, uno dei migliori film dell'anno, e condivide con 'Nymphomaniac' di Von Trier il desiderio di mettere in discussione l'importanza e il significato della "pura narrazione" al giorno d'oggi, e di indagare il suo rapporto con la contemporaneità. Di tutt'altra natura, ma di altrettanta qualità cinematografica, 'Deux Jours, Une Nuit' dei Dardenne (voto 9) concepisce il Cinema come rappresentazione materiale e consistente della Vita. Impressionante la scelta di evitare ogni orpello narrativo collaterale per concentrarsi esclusivamente sulle lotte e sulle sofferenze della protagonista Sandra, costretta a cercare di convincere i suoi colleghi a rinunciare ad un bonus di produzione di 1000 euro per fare in modo che non venga licenziata. Come spesso è già accaduto (a partire da 'Rosetta', Palma D'Oro 1999), i Dardenne parlano di lavoro come unica possibile affermazione dell'individuo. Mai, però, in maniera così scarna ed essenziale, accessibile e popolare. In questo caso, la narrazione è strettamente funzionale al contenuto ed è fondamentale per attuare il coinvolgimento emotivo più totale da parte dello spettatore, che respira, ansima, piange insieme ad una Marion Cotillard semplicemente immensa. Pare quasi che i Dardenne si pongano in una posizione antistante da quella di Assayas sul tema del racconto. Non sappiamo chi abbia ragione, quello che importa è che in entrambi i casi si tratti di un cinema eccezionale, che vola altissimo.



martedì 17 giugno 2014

Cannes e Dintorni 2014 - Prima Parte: Wild Tales, Queen And Country, Jimmy's Hall

E così anche quest'anno, grazie ad un anonimo benefattore, si è riusciti ad organizzare 'Cannes e Dintorni', questa rassegna di giugno amatissima dalla buona, sana e intellettuale cinefilia milanese. Cinefilia che non si fa certo intimorire dalla massiccia dose di calcio dovuta ai Mondiali, ma che invade le migliori sale cinematografiche della città per godere di visioni prima degli altri o, addirittura, di visioni che non potranno essere godute dagli altri, perchè spesso trattasi di piccole chicche che non saranno distribuite. Noi che amiamo il calcio e i Mondiali di calcio ma che amiamo anche il cinema d'autore, di nicchia e non, cerchiamo acrobaticamente di riuscire a vivere entrambi gli eventi in prima persona. Si è parlato tanto del Gran Premio della Giuria vinto da Alice Rohrwacher con 'Le Meraviglie', un po' meno della Palma D'Oro andata a Nuri Bilge Ceylan per 'Winter Sleep', film turco di tre ore e un quarto. Lo dico subito: ho deciso di evitarli accuratamente, dal momento che le precedenti opere della Rohrwacher e di Ceylan (ovverosia, 'Corpo Celeste' e 'C'era una volta in Anatolia') sono state le cose più insostenibili che abbia visto sul grande schermo negli ultimi anni. Cinema pesante, lentissimo, estetizzante, quasi inaccessibile. Un'idea di Cinema che evidentemente ha trovato l'approvazione del Presidente di Giuria Jane Campion (della quale abbiamo mal sopportato anche l'acclamato 'Lezioni Di Piano') ma esattamente agli antipodi da quella che, con il mio piccolo blog, cerco di sostenere. Se fossi stato io il Presidente di Giuria non avrei esitato, invece, a dare uno dei due premi principali al sorprendente, violento, anarchico 'Wild Tales' di Damiàn Szifròn (voto 9). Il regista argentino racconta sei storie accomunate dall'esasperazione dei sentimenti, dall'istinto distruttivo e autodistruttivo dell'Uomo, schiacciato dall'oppressione delle istituzioni e succube dell'ambizione e del benessere economico. Alcuni passaggi sono davvero indimenticabili, sorretti da un umorismo nero e da un gusto per il grottesco che raramente si sono visti di recente: forse, una versione sudamericana di Todd Solondz o di Ulrich Seidl; senza dubbio, un atto d'amore nei confronti di un Cinema anti-intellettualistico, feroce, sarcastico, ancora in grado di scuotere convenzioni borghesi e di non voler compiacere la platea snob del Festival più celebrato. Non sorprende, dunque, che sia rimasto a bocca asciutta. Sorprende di più che sia stato selezionato Fuori Concorso il nuovo eccellente lavoro del grande John Boorman, 'Queen And Country' (voto 8). Il Vecchio Maestro (ricordiamo, tra i tanti, titoli semplicemente strepitosi come 'Senza un attimo di tregua' e 'Un tranquillo weekend di paura') offre un grandioso coming of age anni 50: commovente, romantico. Al centro, temi semplici ma eterni, ultimi a morire: amicizia tra uomini, illusioni d'amore, tradimenti, cadute e rinascite. Non è un caso che nei dialoghi tra i protagonisti, scalfiti dapprima da ingenue speranze e tramortiti poi da "botte che solo la vita sa rimediare", si citino alcuni dei più grandi, come Kurosawa, Wilder, Hitchcock. Un lavoro d'altri tempi, assolutamente fuori moda, anch'esso disinteressato a conquistare le simpatie del lettore medio di 'Repubblica', che si potrà consolare certamente col deludente 'Jimmy's Hall' di Ken Loach (voto 5). Chi mi conosce, sa che amo Loach. Sa che amo il suo approccio pasionario, amo i suoi perdenti, i suoi racconti proletari e civili. Mi commuovo ancora oggi quando penso a quel capolavoro de 'Il vento che accarezza l'erba' e a quel finale terribile e immenso. Ma, in questo caso, siamo di fronte alla storiella del comunista che torna, dopo anni di esilio, nel suo villaggio natìo per combattere il conservatorismo e le ipocrisie dovute all'ingombrante presenza della Chiesa e alla morale cattolica. Siamo, purtroppo, di fronte a un'opera prevedibile, manichea, senza sussulti. Non verrà mai meno la nostra stima per il combattente Ken, ciononostante anche ai condottieri più valorosi capita di non essere in forma smagliante.



venerdì 6 giugno 2014

I Magnifici Sette: Football Movies

Noi non supereremo mai questa fase.

Febbre a 90 - David Evans, 1997: tifare una squadra di calcio è un mistero della fede. Qualcosa che non può essere spiegato razionalmente. E' un dato di fatto con il quale bisogna convivere. La traduzione cinematografica del bestseller di Nick Hornby è una commedia sentimentale che ha la sua forza nell'ironia, nella tenerezza, nella straordinaria sincerità con la quale viene raccontata la vita di un trentenne, insegnante di lettere, alle prese con un amore nuovo (una graziosa collega un po' snob e radical-chic) e con quello di sempre (l'Arsenal, destinato a vincere il campionato dopo diciotto anni). Grande Colin Firth.

Hooligans - Lexi Alexander, 2005: film duro e crudo, forse l'unico che pone una lente di ingrandimento onesta sulla realtà delle tifoserie di calcio più intransigenti ed estreme, senza retoriche e moralismi. Il protagonista è un insegnante di Educazione Fisica, quasi a voler ribadire che la violenza non è espressione di una singola classe sociale, ma è un dato di fatto reale e diffuso. Molti, comunque, i passaggi nel quale il tifo viene mostrato come l'espressione di un senso di comunità, di fratellanza, di un'attitudine anarchica e antisistemica. Indimenticabile il coro I'm Forever Blowin Bubbles, l'inno del West Ham United.

Il Mio Amico Eric - Ken Loach, 2009: insieme a La Parte Degli Angeli, è il film più utopista di Ken Loach, nel quale la classe operaia riesce a prevalere e ad andare finalmente in paradiso, grazie a valori come l'amicizia e la solidarietà. E il calcio, impersonificato da Eric Cantona, rappresenta una via di fuga, un motivo di consolazione e di gioia quando tutto sembra perduto. Leggero ma trascinante, in modo particolare nel finale un po' hollywoodiano, che non fa altro che evidenziare il significato favolistico e irreale, ingenuo, giocoso e liberatorio.

Maradona By Kusturica - Emir Kusturica, 2008: che cos'è il genio? Emir segue Diego, corre appresso ai ricordi del Pibe de Oro, e regala quei bellissimi due minuti in cui Manu Chao canta La Vida Es Una Tombola per strada di fronte ad un commosso Maradona. Gloria e disperazione sono quasi sempre stati indissolubili nella vita di un uomo indubbiamente controverso, romantico e punk. Diego è il calcio nella sua forma più autentica, ostinata e incontaminata da "mafiosi" come Havelange, Blatter e Matarrese: è il calcio come "bellezza del gesto".

Sognando Beckham - Gurinder Chadha, 2002: ecco, invece, il calcio più politicamente corretto, ecumenico e familista in un film, però, tutt'altro che sgradevole. Non importa chi siete, da dove venite, come la pensate. Tutti noi possiamo essere uniti e affiatati dalla voglia di correre dietro a un pallone, bianchi o neri, maschi o femmine, etero o gay. Questa è la forza del calcio ma è, soprattutto, la forza di un film che ha lanciato quel dono divino di Keira Knightley, innamorata come la sua amica del cuore del loro allenatore Jonathan Rhys-Meyers.

Jimmy Grimble - John Hay, 2000: ovverosia, Billy Elliot spiegato agli eterosessuali maschi. Grazie a un paio di scarpette magiche, un adolescente brocco e introverso, tifoso dello sfigato Manchester City, diventa un fenomeno e porta la sua squadra alla finale del torneo della scuola. Dopo il trionfo, i dirigenti del Manchester United gli chiederanno di giocare per loro, ma alla domanda "Cosa d'altro può esserci di meglio del Manchester United?", lui risponderà: "Il Manchester City". Epico. PS: La Storia del Calcio ha poi invertito la rotta, riabilitando il City in una delle squadre più forti d'Europa.

Il Maledetto United - Tom Hooper, 2009: questa è una delle storie di calcio più belle e poetiche in assoluto, quella dell'allenatore un po' sbruffone Brian Clough, che portò il minuscolo Derby County a vincere il campionato e il Nottingham Forest a vincere due Coppe dei Campioni consecutive, ma che, nel mezzo, fallì clamorosamente con il Leeds United, la squadra inglese di maggior successo dei primi anni Settanta ma anche la più scorretta e indisciplinata. Un grandissimo film, diretto dal regista de Il Discorso Del Re, su ambizione e amicizia tradita e riconciliata, perchè il calcio è come il blues: dentro c'è tutto. Meravigliosi Michael Sheen e Timothy Spall.