sabato 7 aprile 2018

Top 5: Aprile 2018

5 - Molly's Game - Aaron Sorkin (voto 7)
Esordio dietro la macchina da presa del grande sceneggiatore di The Social Network e Steve Jobs: le aspettative non si smentiscono. Perché il ritmo è incalzante, i dialoghi sono brillanti e cinici, la storia è un potente ritratto di America che si destreggia tra il limite della legalità e l'apologia del successo. Peccato però che si senta la mancanza di uno sguardo autoriale che sfugga da alcune scelte convenzionali. Brava come sempre Jessica Chastain.

4 - L'amore secondo Isabelle - Claire Denis (voto 7)
La travagliata vita sentimentale di una bella pittrice cinquantenne (la grande Juliette Binoche), in confusione emotiva e alla ricerca di un amore definitivo. Una pellicola radical-chic per signore? Senza dubbio, ma l'eleganza formale e l'attenzione alla caratterizzazione di tutti i personaggi non sono da trascurare: il girotondo di maschi che entrano ed escono di scena visti da un occhio femminile sincero e passionale meritano l'attenzione di chiunque.

3 - La casa sul mare - Robert Guédiguian (voto 7)
Il manifesto di Guédiguian, tra impegno politico, malinconia, gesti di solidarietà ancora presenti in un mondo cattivo e ingiusto dove è sempre più complicato essere buoni e giusti. Un cinema limpido e coerente, sincero: quasi due ore in cui si assaporano esistenze molto simili alle nostre, in bilico tra affetti speciali e ideali perduti, avvalendosi di dialoghi memorabili e della splendida location marsigliese della calanque de Méjean, luogo dell'anima del regista francese.

2 - I segreti di Wind River - Taylor Sheridan (voto 8)
Un western contemporaneo che riflette su un pezzo di Stati Uniti senza speranza, dove l'unico tipo di liberazione possibile è di natura animalesca. La statura è quella del classico eastwoodiano, in grado di lasciare attoniti e commossi: al centro, un dolore privato che arriva alla consapevolezza di una sconfitta umana che riguarda ogni miraggio di convivenza e accettazione. Jeremy Renner mai così ruvido, Elizabeth Olsen coraggiosa e indifesa investigatrice alle prese con un mondo di lupi.

1 - Il giovane Karl Marx - Raoul Peck (voto 8)
Non c'è felicità senza rivolta. Ma anche oggi l'uomo che non ha niente è niente. Finalmente un degno film sull'elaborazione di quel pensiero che ha contaminato l'Europa a metà Ottocento portando allo scontro borghesia e proletariato. E poi godibili e umanissimi momenti di bromance comedy: perché dietro a Karl Marx e Freddy Engels c'erano due ragazzi, amanti del bere e delle donne, legati da una commovente unione intellettuale e rivoluzionaria. Per fortuna, qualcuno era comunista.



venerdì 9 marzo 2018

Top 5: Marzo 2018

5 - All These Sleepless Nights - Michal Marczak (voto 7)
Uno dei nuovi manifesti della nicchia techno-minimal, forse il documento più sincero e crudo insieme a Eden di Mia Hansen-Love. Le scorribande di due ventenni per la Varsavia dei rave, tra notti e albe, fuochi d'artificio e solitudine. Una lente d'ingrandimento su quella parentesi dalla vita reale che chiunque di noi può aver trascorso, quando conta soltanto ballare incessantemente e non pensare, e tutto ciò che è passato o futuro sembra non avere importanza.

4 - Dark Night - Tim Sutton (voto 8)
La giornata di alcuni sconosciuti precedente al massacro di Aurora in Colorado del 2012, poco prima della proiezione del film Il cavaliere oscuro - Il ritorno. Uno stile minimalista e "vansantiano" che si insinua a poco a poco sottopelle, ci fa immergere nell'oscenità quotidiana di una Nazione che non è in grado di fare i conti con il vuoto pneumatico dell'esistenza dei suoi abitanti, ovvero individui che conoscono soltanto il linguaggio dell'(auto)distruzione per poter avere le luci della ribalta.

3 - Oltre la notte - Fatih Akin (voto 8)
Ritorno del regista turco-tedesco al dramma secco e politico, il genere che più gli è congeniale: una mazzata emotiva, che si confronta con la macchia nazista che si sta pericolosamente diffondendo in alcune zone d'Europa. Diviso in tre atti, non privo di singole ingenuità, ma con una potenza generale di racconto che capita sempre più di rado: gran parte del merito è della straordinaria prova di Diane Kruger, premiata a Cannes, donna addolorata e ferita, in cerca di giustizia e costretta alla vendetta.

2 - Foxtrot - Samuel Maoz (voto 9)
Il trauma della perdita e l'orrore della guerra raccontati attraverso la disperazione di un padre e la vita immobile in un checkpoint perduto in mezzo al deserto. Il sangue si tramanda di generazione in generazione in un loop dove si torna sempre al punto di partenza. Ma per l'israeliano Maoz, l'assurdità della violenza e l'ineluttabilità del fato si possono esorcizzare con la danza e con i racconti di gioventù. Meritato Gran Premio alla Mostra di Venezia, dimenticato agli Oscar.

1 - Tonya - Craig Gillespie (voto 10)
La più grande sorpresa del cinema americano degli ultimi anni. Lo scandalo sportivo dell'aggressione alla pattinatrice Nancy Kerrigan, che coinvolse la sua diretta rivale Tonya Harding, è lo spunto per una riflessione sull'America più emarginata e povera, in cerca di identità e senza possibilità di riscatto, nello stesso tempo vittima e colpevole. Un film semplicemente perfetto: il tono è ironico senza diventare grottesco, dolente e impietoso senza diventare patetico. La ricreazione dei primi anni Novanta, tra musiche e costumi, è impeccabile. Margot Robbie era da Oscar: nessuna come lei trasmette così bene bellezza, disperazione e squallore.



sabato 24 febbraio 2018

Oscar 2018: Pronosticoni

MIGLIOR FILM

Emiliano Dal Toso: la sfida è tra La forma dell'acqua e Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Mi sembra molto aperta, darei un 50 per cento a ciascuno. Tra i due, però, preferisco decisamente il film di Martin McDonagh, quindi dico Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

Massimiliano Gavinelli:
Tre manifesti a Ebbing, Missouri è l'unico candidato che non cerca di estremizzare la forma a discapito del contenuto e sarà l'umore dei giurati a decidere se ciò sia un bene oppure un male. Opto per la seconda opzione e dico La forma dell'acqua, insidiato da Dunkirk che tuttavia dovrebbe prendersi qualche soddisfazione in ambito tecnico.

MIGLIOR REGIA

E.D.T.: chi la meriterebbe? Paul Thomas Anderson, che ne Il filo nascosto dà una lezione di regia sofisticata, elegante, sempre funzionale al contenuto. Chi è il più bravo? Christopher Nolan, che in Dunkirk realizza un prodigio tecnico. Chi vincerà? Guillermo del Toro, perché la sensazione è che Hollywood sia rimasta fin troppo incantata dai trucchi de La forma dell'acqua.

M.G.: si sfidano la cura maniacale del dettaglio di Paul Thomas Anderson, la direzione puntuale degli attori di del Toro e la maestosa invasività corale di Nolan. Tre registi formidabili e tutti meritevoli. Secondo me vincerà Christopher Nolan per Dunkirk.

MIGLIOR ATTORE

E.D.T.: la verità è che Daniel Day-Lewis meriterebbe di portarsi a casa il quarto Oscar. Ne Il filo nascosto è impressionante. Sarebbe un'uscita di scena da fuoriclasse assoluto, come un calciatore che vince un Mondiale e poi decide di ritirarsi. Ma noi speriamo che Daniel ci ripensi: e allora, potrebbe essere l'anno di Gary Oldman che ne L'ora più buia è un Winston Churchill altrettanto incredibile.

M.G.: vincerà Gary Oldman grazie alla sua interessante opera di immedesimazione e trasformazione, nonostante a mio avviso lo meritino l'espressività, la puntualità e l'innata capacità di esprimere il mondo con una smorfia di Daniel Day-Lewis.

MIGLIOR ATTRICE

E.D.T.: si ripropone la gara tra La forma dell'acqua e Tre manifesti: Sally Hawkins contro Frances McDormand. Dovrebbe vincere quest'ultima, premiata finora un po' dappertutto. Il mio cuore però batte fortissimo per Margot Robbie in Tonya: semplicemente immensa. Mi sembrano più staccate Saoirse Ronan e Meryl Streep.

M.G.: non dovrebbe esserci gara, Frances McDormand è favorita ed è giusto che vinca. Attenzione a Sally Hawkins, estremamente brava e potente nel suo assordante silenzio. Poche chance per la Robbie nonostante lo spessore dato alla sua Tonya. Saprà rifarsi in futuro.

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA

E.D.T.: la categoria in cui mi sento di espormi maggiormente, perché tifo dichiaratamente per Sam Rockwell e sono convinto che riuscirà a portarsi a casa la statuetta. Il suo Dixon è uno di quei personaggi per cui amiamo il cinema. Al limite del patetico la presenza in cinquina di Christopher Plummer per Tutti i soldi del mondo, che ha sostituito in extremis il bandito Kevin Spacey.

M.G.: Sam Rockwell merita la vittoria. Il suo personaggio è uno dei più indelebili dell'anno, fortemente empatico e a tratti poetico. L'unico che potrebbe fargli le scarpe è il suo compagno di set Woody Harrelson. Intensità batte anzianità: vince Sam Rockwell.

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA

E.D.T.: forse la categoria più equilibrata, non mi sento di escludere nessuna candidata. Le più brave sono Allison Janney per Tonya e Lesley Manville per Il filo nascosto. Qui però potrebbe farsi sentire la quota black: corsa al fotofinish tra Octavia Spencer e la sorpresa Mary J. Blige? La Spencer però lo ha già vinto, e allora rischio la Blige per Mudbound.

M.G.: bel duello in questa categoria tra due ruoli di donne forti grazie alle proprie debolezze e deboli grazie alle proprie forze, al limite costante di un autocontrollo necessario e irrinunciabile: le bravissime Allison Janney di Tonya e Lesley Manville de Il filo nascosto. Tifo per la prima, ma vincerà la seconda.

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE

E.D.T.:
per simpatia e amore nei confronti del film mi verrebbe da dire The Big Sick. Più razionalmente dico Tre manifesti a Ebbing, Missouri, già vincitore alla Mostra di Venezia.

M.G.: meriterebbe la statuetta The Big Sick, per brillantezza e freschezza dello script. Può vincere La forma dell'acqua, una storia tutt'altro che nuova per quanto ben scritta, ma sono convinto che alla fine vincerà Tre manifesti a Ebbing, Missouri e ne sarò felice.

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

E.D.T.: meriterebbe la rocambolesca, geniale, inquietante storia del fallimento di successo di The Room al centro di The Disaster Artist. Qui però i fan di Chiamami col tuo nome potrebbero esultare: attenzione però, perché l'Oscar va a James Ivory e non a Luca Guadagnino.

M.G.: vincerà meritatamente Chiamami col tuo nome. Occhio soltanto alla possibile sorpresa Mudbound.

MIGLIOR FOTOGRAFIA

E.D.T.: voto Dunkirk, per distacco.

M.G.: il prontuario di illuminotecnica di Dan Laustsen (La forma dell'acqua) batterà la sostanza visiva di Hoyte Van Hoytema (che in generale resta secondo me il più bravo dei due). Molto indietro il Maestro Roger Deakins (Blade Runner 2049), la cui improbabile e - per una volta - immeritata vittoria non sarebbe tuttavia una sorpresa.

MIGLIOR MONTAGGIO

E.D.T.: Dunkirk, non ci sono dubbi.

M.G.: Dunkirk stramerita la statuetta. Non dovrebbe avere rivali e se ce li dovesse avere (unico rivale, anche qui, La forma dell'acqua) sarebbe un vero e proprio furto.

MIGLIOR FILM STRANIERO

E.D.T.: una cinquina che delizia i palati più cinefili. I miei preferiti sono L'insulto e Una donna fantastica. Ho amato anche Loveless, seppur non penso sia il capolavoro di Zvyagintsev. Il mio timore è che possa vincere il sopravvalutato The Square, già Palma d'oro a Cannes.

M.G.: L'insulto è straordinario e deve vincere. Non vedo alternative.




venerdì 23 febbraio 2018

Top 5: Febbraio 2018

5 - The Post - Steven Spielberg (voto 7)
Uno Spielberg che più classico non si può, nostalgico dell'impegno anni Settanta: coppia di rassicuranti star, indignazione, ode alla libertà di stampa. Ma il rischio è che la nobilissima confezione parli al passato più di quanto sembra, risultando oggi anacronistica: il miglior fantasy del regista americano? Difficile però non ammirare la precisione stilistica e la limpidezza del discorso politico e retorico, prosecuzione ideale dei precedenti Lincoln e Il ponte delle spie.

4 - Final Portrait - Stanley Tucci (voto 7)
Un'analisi dettagliata dei meccanismi e dei piccoli passaggi emotivi che caratterizzano la nascita di un rapporto di stima e amicizia tra due uomini sicuramente lontani, per età e carattere, ma legati da un reciproco fascino nei confronti delle rispettive debolezze. Geoffrey Rush è magistrale, capace di restituire tutte le nevrosi e gli imprevedibili colpi di genio e follia di un individuo solitario, un po' scorbutico ma pieno d'ironia, che forse ha soltanto necessità di un conforto e un abbraccio maschile.

3 - Hannah - Andrea Pallaoro (voto 8)
Costruita interamente sulla straordinaria potenza espressiva di Charlotte Rampling, un'opera rigorosa e sensibile, che descrive con minuzia di particolari il dolore quotidiano di una donna rimasta sola, evitando scene madri e psicodrammi isterici. Un'idea di cinema forte e precisa, chiara e adulta, all'altezza del confronto con autori come Michael Haneke e Tsai Ming Liang. Assurdo che si punti il dito proprio contro questo cinema italiano, finalmente libero da compromessi.

2 - The Disaster Artist - James Franco (voto 9)
La miglior espressione del genio irrefrenabile e spesso disordinato di James Franco, nei panni di Tommy Wiseau, regista pretenzioso e privo di talento oltre che individuo a dir poco misterioso. Un'esilarante e intelligente, debordante prova sul confine sottile che separa successo e insuccesso, bellezza e bruttezza, riflettendo sulla contemporaneità: l'abbattimento delle scale di merito e di valore, che permette a chiunque di avere le luci della ribalta, perché il sapore del trash spesso è più gustoso.

1 - Il filo nascosto - Paul Thomas Anderson (voto 9)
Il più sottile e raffinato lavoro di PTA, che riconosce i limiti della Settima Arte di poter spiegare e rappresentare le dinamiche relazionali e la complessità degli esseri umani. L'inafferrabilità e l'invisibilità sono ciò che legano lo stilista Woodcock e la sua musa, vittima, moglie e poi carnefice Alma: l'amore non è uno scontro, ma la tessitura di un intreccio che non segue un percorso logico e razionale. Il capovolgimento dei ruoli è continuo e imprevisto, ma la forza ipnotica del regista, ormai alla stregua dei più grandi di sempre (Kubrick, Hitchcock, Bergman), non ha eguali. Funzionale il supporto delle musiche di Johnny Greenwood.



giovedì 22 febbraio 2018

Oscar 2018: Miglior Film

Il filo nascosto - Paul Thomas Anderson 9
Forse il più sottile e raffinato lavoro di PTA, che ammette i confini e i limiti della Settima Arte di poter spiegare e rappresentare le dinamiche relazionali e la complessità degli esseri umani. L'inafferrabilità è ciò che lega lo stilista Woodcock e la sua musa, vittima, moglie e poi carnefice Alma: l'amore non è uno scontro, ma la tessitura di un intreccio che non segue un percorso razionale. Il capovolgimento dei ruoli è continuo, ma la forza ipnotica del regista, ormai alla stregua dei più grandi di sempre, non ha eguali. Fondamentale il supporto delle musiche di Johnny Greenwood.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri - Martin McDonagh 9
In un paesino del Missouri razzista e indifferente, la tragedia si stempera improvvisamente con la risata, così come la commozione si nasconde anche dietro personaggi imbastarditi e senzadio, che si affannano per combattere contro un Male invisibile, ma forse sono soltanto alla ricerca di speranza e amore. Martin McDonagh è il miglior erede dei fratelli Coen, guarda a Fargo ma senza scimmiottarlo e permette a un terzetto d'attori inarrivabile (McDormand, Rockwell, Harrelson) di puntare all'Oscar.

Dunkirk - Christopher Nolan 7
L'autore Nolan non c'è più, lascia spazio ormai al tecnico prodigioso e all'architetto d'immagini: per vivere l'esperienza della guerra sul grande schermo, Dunkirk potrebbe non avere rivali nella storia del cinema. Ma poi che cosa resta? Niente di più di un grandioso intrattenimento: che sia poco o tanto, dipende dall'umore e dall'aspettativa di ciascuno. Un trip sonoro ancor più che visivo, un'opera dalla forma impeccabile, costruita ad arte, senza pathos ed epica.

L'ora più buia - Joe Wright 7
Enorme Gary Oldman nei panni di Winston Churchill durante la graduale presa di consapevolezza dell'impossibilità di negoziare la pace con "quell'imbianchino" di Hitler. Potere alla parola, scritta e parlata: la regia di Wright pecca di un eccesso di teatralizzazione ma sa costruire anche sequenze d'antologia, come quella nella metropolitana. L'odio contro il nazismo scorre potente nelle vene: in questo caso, un film giustamente non pacifista.

The Post - Steven Spielberg 7
Uno Spielberg che più classico non si può, nostalgico dell'impegno degli anni Settanta: coppia di rassicuranti star, indignazione, ode alla libertà di stampa. Ma il rischio è che la nobilissima confezione parli al passato più di quanto sembra, risultando oggi anacronistica: il miglior fantasy del regista americano? Difficile però non ammirare la precisione stilistica e la limpidezza del discorso retorico e politico, in linea con i precedenti Lincoln e Il ponte delle spie.

Chiamami col tuo nome - Luca Guadagnino 6
Nessuno come Guadagnino riesce a far vivere i luoghi e gli ambienti, a dargli un ruolo attivo e un significato sensuale: la provincia di Crema e la ricostruzione d'epoca meriterebbero da soli la visione. Ma la seconda parte del film non è narrativamente all'altezza della prima: l'evoluzione della storia d'amore non sorprende, e la patina indie è sempre dietro l'angolo. Osannato oltremisura anche da chi aveva massacrato Io sono l'amore e A Bigger Splash: come spesso accade, la verità sta nel mezzo.

La forma dell'acqua - Guillermo del Toro 6
Una storia d'amore tenerissima dai toni favolistici per una pellicola esteticamente straordinaria, ma dove non convince appieno l'elogio poetizzante della diversità. Probabilmente nelle mani del Tim Burton di un tempo sarebbe stato un capolavoro struggente con la giusta dose di sporcizia emotiva, in quelle di Guillermo del Toro è soltanto un ottimo prodotto ben confezionato, che può ingannare lo stesso pubblico che si è fatto incantare dalle ruffianerie di La La Land.

Lady Bird - Greta Gerwig 6
Mi è sempre piaciuta tanto Greta Gerwig, come attrice e personaggio, ma dal suo esordio dietro la macchina da presa era lecito aspettarsi qualcosa di più. Il suo romanzo di formazione ed emancipazione sentimentale è senz'altro sincero, privo però di una propria originalità e di uno sguardo davvero personale: gradevole, come tanti altri film indipendenti americani con gli stessi temi e le stesse sfumature. A brillare è soprattutto la sempre più matura Saoirse Ronan. 

Scappa - Get Out - Jordan Peele 5
Uno dei casi cinematografici della scorsa stagione americana, etichettato addirittura come film simbolo della fase post-obamiana, forse perché il regista Peele è noto per essere un eccellente imitatore dell'ex presidente. In realtà, la lettura politica dei sottotesti è fin troppo generosa: di per sé, è un horror curioso nella prima parte, maldestro e a tratti patetico nella seconda. Potrà essere attuale l'idea di partenza, ma lo sviluppo lascia francamente perplessi.



mercoledì 31 gennaio 2018

Oscar 2018: Miglior Film Straniero

Una donna fantastica - Sebastian Lelio 9
Memorabile ritratto femminile di Daniel/Marina, che rivendica il diritto di piangere la persona che ama affrontando gli imbarazzi e i pregiudizi di una famiglia e di un'intera società. Lelio come il miglior Pedro: innamorato della sua protagonista, la segue mentre si batte per ritagliarsi il proprio spazio di dolore, di passione. Sobrio e delicato dramma transgender, che elabora il lutto con lucidità e determinazione, diretto con eleganza e visionarietà, interpretato dalla straordinaria Daniela Vega.

L'insulto - Ziad Doueiri 9
Scontro dettato da futili motivi tra un meccanico cristiano libanese e un operaio musulmano palestinese che si consumerà nell'aula di un tribunale, coinvolgendo politica e scatenando insurrezioni. Una delle sceneggiature più potenti degli ultimi anni sulla necessità e la complessità della convivenza. Un courtroom drama incalzante: ritmo hollywoodiano, attori eccezionali (Adel Karam e Kamel El Basha), senza vincitori né vinti. Perché nessuno ha l'esclusiva della sofferenza.

Loveless - Andrey Zvyagintsev 8
Un altro impietoso disegno umano e sociale firmato dal più importante cineasta russo d'inizio millennio: individualismo, superficialità, avidità e assenza d'amore sono le caratteristiche più grigie e inquietanti di una ricca borghesia ormai completamente spogliata di compassione e materialista. Lucidamente pessimista, Zvyagintsev rimarca in ogni scena il suo punto di vista, a rischio di soffocare lo spettatore: il rigore formale e la potenza espressiva però sono quelle di un autore unico.

Corpo e anima - Ildiko Enyedi 6
Vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino, un'opera ungherese indubbiamente affascinante, capace di coniugare riflessioni esistenziali e immagini oniriche di forte impatto. Ciononostante, il simbolismo sembra eccessivo, ribadito con troppa insistenza, e alcune trovate come la psicologa sexy e provocante rischiano di cedere il passo al trash d'autore: tutto però è troppo regolamentato e un po' prevedibile. E attenzione alle scene nel mattatoio, che impressioneranno gli animalisti più sensibili.

The Square - Ruben Ostlund 5
Palma d'oro dello scorso Festival di Cannes, che ha diviso piuttosto ampiamente: in sostanza, una sequenza di barzellette che hanno lo scopo di irridere la pretenziosità del vacuo mondo dell'arte radical-chic svedese, giungendo fino a una critica poco nitida sulla superficialità e la stupidità del nostro presente. Rispetto all'arguto e intelligente Forza maggiore, Ostlund va troppo a vanvera, il non-sense funziona preso singolarmente, ma la sensazione complessiva è di un gigantesco boh.



venerdì 26 gennaio 2018

Top 5: Gennaio 2018

5 - Paradise - Andrei Konchalovsky (voto 7)
Il "paradiso" di Konchalovsky è formalmente impeccabile e incontaminato, e il titolo rimanda a quello idealizzato dalla mostruosa utopia nazista, che auspicava la supremazia della sola razza ariana. Un bianco e nero elegante e pulito, uno sguardo asciutto, rigoroso, distaccato. Precisione stilistica e fascino visivo, ma i contenuti rimandano a cliché piuttosto noti, a partire dal ritratto dei due nazisti che sono ancora capaci di gesti umani e di sentimenti.

4 - Made in Italy - Luciano Ligabue (voto 7)
Dimenticate Radiofreccia e Da zero a dieci: il terzo film del rocker di Correggio è dimesso e privo di energia febbricitante. Ha il merito di raccontare in maniera cruda il Paese di oggi, senza scorciatoie consolatorie. I difetti sono molti, e le ambizioni si reggono su un filo fragile, ma va apprezzata la sincerità dell'operazione, e la capacità di descrivere una famiglia di provincia con una trasparenza struggente. Lo aiutano molto Stefano Accorsi e Kasia Smutniak, un po' meno il resto del cast.

3 - L'ora più buia - Joe Wright (voto 7)
Indiscutibile prova da Oscar per Gary Oldman nei panni di Winston Churchill durante la graduale presa di consapevolezza dell'impossibilità di negoziare la pace con "quell'imbianchino" di Hitler. Potere alla parola, scritta e parlata: la regia di Wright pecca come sempre di un eccesso di teatralizzazione ma sa costruire anche sequenze d'antologia, come quella nella metropolitana. L'odio contro il nazismo scorre potente nelle vene: in questo caso, un film giustamente non pacifista.

2 - Ella & John - Paolo Virzì (voto 8)
Una delle migliori pellicole del regista livornese. In America e con temi a rischio come senilità e Alzheimer, attenua il suo stampo retorico e trova l'equilibrio perfetto tra commozione trattenuta e una comicità garbata e maldestra. Si abbandona affettuosamente all'indolenza raggrinzita di due interpreti meravigliosi come Helen Mirren e Donald Sutherland. E il loro viaggio finale dal Massachusetts alle Florida Keys è un omaggio non solo a Hemingway, ma a un intero universo letterario.

1 - Tre manifesti a Ebbing, Missouri - Martin McDonagh (voto 9)
In un paesino del Missouri razzista e indifferente, la tragedia si stempera improvvisamente con la risata, così come la commozione si nasconde anche dietro personaggi imbastarditi e senzadio, che si affannano per combattere contro un Male invisibile, ma forse sono soltanto alla ricerca di speranza e amore. Martin McDonagh è il miglior erede dei fratelli Coen, guarda a Fargo ma senza scimmiottarlo e permette a un terzetto d'attori inarrivabile (McDormand, Rockwell, Harrelson) di puntare all'Oscar.