Sono rimasto molto perplesso, per non dire incazzato, dopo aver letto pareri non del tutto positivi o vere e proprie stroncature sull'ultimo film di Daniele Gaglianone 'Ruggine'. Il film viene accusato di non essere coinvolgente a causa di un piano narrativo poco comprensibile, fuori dagli schemi ordinari. E chissenefrega. Così come nel meraviglioso 'La solitudine dei numeri primi' di Saverio Costanzo, Gaglianone sceglie di dare un'impronta molto autentica e personale all'adattamento cinematografico del romanzo di Stefano Massaron. Rispetto ai precedenti lavori (osannati e poco visti, 'Pietro' è senz'altro da recuperare), il regista anconetano può fornire di un cast davvero eccezionale (Timi, Accorsi, Mastandrea e Solarino sono tra i nomi migliori del cinema italiano) e di una confezione impeccabile, dalla fotografia alla colonna sonora. Il problema è che Gaglianone non ha percorso la strada rassicurante del racconto nazional-popolare con i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. La macchina da presa ad altezza di bambino viene posta in funzione di penetrare all'interno dei personaggi, a distanza di anni ancora graffiati, "arrugginiti" dai ricordi di un passato traumatico e indelebile. I continui sbalzi temporali sono maneggiati con grandissima abilità narrativa. Sorprende, poi, l'intelligenza con la quale viene utilizzato ogni aspetto tecnico al fine di trasmettere uno stato d'animo preciso, dall'inquietudine alla rassegnazione. Se il personaggio adulto di Valerio Mastandrea è eccessivamente stilizzato, sono molto equilibrate le caratterizzazioni di Accorsi e della Solarino ed è sottile ma chiaro il "segno" che la loro infanzia ha lasciato sul loro percorso. A ricevere la standing ovation, però, è Filippo Timi nei panni dell'Orco, del "Drago Nero", il dottore deviato e malato, orrore e follia. Un personaggio difficilissimo e sgradevole a cui l'attore si dedica con grande coraggio e dedizione. 'Ruggine' non è certamente un film perfetto: tutta la vicenda inerente al personaggio di Mastandrea è poco lucida e la scena finale in metropolitana è alquanto gratuita. Eppure, preferisco un film incostante, imperfetto, che alterna noia ed entusiasmo (questa è la vita e il cinema ne è lo specchio) a opere perfettamente prevedibili, telefonate e presuntuose. Da una parte abbiamo Saverio Costanzo e Daniele Gaglianone che propongono un cinema sporco di visioni e di emozioni, dall'altra abbiamo corpoceleste e susannebier che vince l'oscar con la loro lezioncina retorica che tutti amano sentirsi ripetere da trent'anni. A voi la scelta.
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