Non c'è che dire che questo sia un momento storico particolarmente felice per il
cinema francese, fresco della vittoria del campionato mondiale del cinema con
l'Oscar di 'The Artist', oltretutto giocando da ospite una competizione che
viene vinta praticamente sempre dai padroni di casa. Lo hanno confermato anche
il carino 'Quasi amici' (ottenendo un riscontro al botteghino molto più che
carino) e l'ottimo 'Piccole bugie tra amici', dimostrando che si può fare del
cinema medio, popolare, eppure intelligente, arguto, stimolante (alla faccia di
Brizzi e delle sue "sparate" contro il cinema d'autore). Lo conferma 'Gli
infedeli', operazione interessantissima nella quale sette registi differenti
girano altrettanti episodi (più un prologo) sul tema dell'infedeltà maschile. I
protagonisti dei diversi episodi sono sempre i due fantastici mattatori Jean
Dujardin e Gilles Lellouche, autori anche dell'episodio finale 'Las Vegas' (il
meno riuscito). L'aspetto più interessante de 'Gli infedeli' è proprio il
fatto che ogni episodio abbia una forma e una caratteristica diversa. Si passa
da quello più demenziale a quello più drammatico, passando per il genere noir o
per la commedia di costume, con grande facilità, grande abilità da parte di
tutti coloro che hanno preso parte a questo progetto. Tutti gli episodi sono
assolutamente godibili, ma in modo particolare non possiamo non citare quello
del premio Oscar, appunto, Michel Hazanavicius 'La coscienza pulita'.
Interpretato da un Dujardin irrefrenabile, a metà strada tra un Vittorio Gassman
e uno Steve Carell, riflette la solitudine di un uomo patetico e mediocre,
alternando in modo fantastico riso e amaro. Riso amaro, appunto. La
commedia all'italiana di qualche decennio fa, infatti, è proprio il modello
dichiarato di Hazanavicius. Un altro episodio riuscitissimo è quello di 'Lolita'
di Eric Lartigau. In questo caso, il ruolo principale è del bravo Lellouche,
dentista innamorato di una diciannovenne universitaria. Ed anche in questo caso,
sorprende la profondità del racconto, la capacità di raccontare universalmente
qualcosa di controverso, il lato aspro dell'amore e della vita. Eppure, non c'è
traccia di autorialità o intellettualismo (capito, Brizzi?). Va dato
atto, dunque, che oggi come oggi la Francia riesce a produrre quel cinema medio
di intrattenimento che noi non siamo più in grado di fare, di girare. Avremo
pure i nostri Giordana e Taviani ma, dopodichè, c'è un vuoto pneumatico proprio
nel genere, quello della commedia, per il quale una volta eravamo conosciuti in
tutto il mondo.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso
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