mercoledì 30 maggio 2012

Cosmopolis (voto 5)

Nel mio piccolo, nel mio piccolissimo, con il blog 'Il bello, il brutto e il cattivo' tento di sostenere una politica cinematografica ben precisa. Cerco, infatti, di prediligere quegli autori che provano a mettere in discussione l'immagine, che vanno alla costante ricerca di esplorare il lato bianco e il lato oscuro della vita e dell'animo umano. In modo particolare, coloro che sono interessati a una concezione di forza immaginifica, conturbante, espressiva della visione. Se uno vuole soltanto interessarsi a una storia, può tranquillamente leggersi un libro invece di guardarsi un film. A tal proposito, i miei punti di riferimento massimo sono certamente David Lynch, Lars Von Trier, Darren Aronofsky e David Cronenberg. Non ho visto tutti i film di Cronenberg ma buona parte: li ho amati quasi tutti. Portatore di una poetica costante, che viene messa in atto ogni volta con un'estetica e una narrazione differente, da 'Videodrome' a 'A Dangerous Method', quello che è al centro del suo discorso è sempre il mostro che abita dentro di noi, il non-controllo, l'infezione. Può trattarsi di mutazione genetica, di videogiochi, di psicoanalisi, di semplice innamoramento. Con 'Cosmopolis', Cronenberg utilizza come mezzo di comunicazione la macchina del capitalismo. E, per la prima volta, delude. Non ho letto il libro di Don De Lillo dal quale è tratto il film ma pare che la versione del regista canadese sia davvero molto fedele. Questo fa pensare al fatto che per una volta Cronenberg, probabilmente, si sia limitato a tradurre in immagini le parole di De Lillo. Può darsi che si sia trovato in incredibile consonanza con le posizioni dello scrittore, o può darsi che abbia preferito compiere un semplice lavoro meccanico, su commissione. Resta il fatto che 'Cosmopolis' risulta essere un film freddo, gelato, programmatico e autocompiaciuto. Il classico crescendo di tensione narrativa che caratterizza tutta la filmografia cronenberghiana è del tutto assente. La riproduzione di una società deviatamente tecnologica, claustrofobica sarà pure impeccabile ma sembra che anche il registro del film vada nella medesima direzione: a dirigere sembra essere il pilota automatico. I dialoghi innaturali, sentenziosi saranno pure voluti ma rischiano di risultare paradossali e involontariamente comici ("La mia prostata è asimmetrica", leit motiv del protagonista). E, infine, diciamolo, la metafora del capitalismo come discesa esistenzialista agli inferi e come regressione ontologica dell'essere umano non è per nulla originale. Sullo stesso tema, ben più efficaci sono 'Fight Club' e 'The Social Network' di David Fincher, ottimo regista, meno geniale di Cronenberg. E a fallire clamorosamente è il personaggio di Robert Pattinson, che rimane esangue, passivo, poco carismatico per tutta la durata di questo 'Cosmopolis'. Un'occasione persa per il simpatico belloccio idolo delle teenager, che recita vampirescamente esattamente come in 'Twilight'. A pochi mesi di distanza da un grandissimo film come 'A Dangerous Method', ingiustamente bistrattato, può succedere anche ai migliori di "bidonare" le aspettative dello spettatore più entusiasta.

Emiliano Dal Toso

1 commento:

  1. Bella recenzione. Anche a me piacciono molto quegli atuori che hai citato. Condivido anche: "mettere in discussione l'immagine, che vanno alla costante ricerca di esplorare il lato bianco e il lato oscuro della vita e dell'animo umano."
    Aggiungerei però che quello che non può dare il cinema, rispetto ad un libro, è il processo poietico dell'immagine che si avvia nella traduzione delle parole entro un immaginario individuale. Il cinema cerca spesso di sviluppare questo processo rendendolo palese innanzitutto, ma anche indirizzandolo. Cioè il cinema, gli autori con la A maiuscola, mi pare abbiano sempre cercato, tra l'altro, di formare (in-formare) la capacità di immaginazione degli individui cercando, chi più chi meno a seconda della propria ideologia, di estrarre le persone dall'appiattimento dovuto all'uniformazione totalitaria della cività postindustriale del consumo e della comunicazione consumista.
    Quello che spesso cerco in un bel film, è quella capacità "politica" di descrivere il mondo fuori dalle strutture predefinite e preinstallate nella maggioranza degli individui assorbiti dal circuito del mondo ultraliberista contemporaneo. Che poi questa tendenza si sviluppi in un modo o nell'altro, questo dipende, come ho detto, dall'ideologia che muove l'autore. Io, ad esempio, amo molto il realismo naturale, quello che porta inscritto nella pellicola la traccia autentica di un mondo ormai colonizzato da sovrastrutture artificiali e soffocanti.
    Ciao ciao, Albi

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