Nella recensione del nuovo episodio di American Pie, Maurizio Porro ha scritto di non dare retta ai blog che diranno, a priori, che è fichissimo. Io dico, invece, di non leggere Maurizio Porro. Oltretutto, nella sua sua simil-stroncatura del film, il critico del Corriere della Sera sostiene che il primo della serie, datato 1999, sia stato il punto di riferimento per tutto il filone neo-demenziale, menzionando in modo particolare Apatow e i fratelli Farrelly. Peccato che i maggiori successi dei Farrelly risalgano al 1994 ('Scemo e più scemo') e al 1998 ('Tutti pazzi per Mary'). E, peccato, che il signor Porro di questo genere volgare, sboccato non ci abbia capito un fico secco. 'American Reunion' (titolo originale migliore di quello italiano, 'Ancora Insieme') è uno dei lavori più rappresentativi del cinema americano demenziale degli ultimi due decenni. L'asticella del politicamente scorretto era già stata alzata dai Farrelly, appunto, tempi orsono. Il gusto goliardico e liberatorio del loro cinema è stato integrato, nel corso degli anni, dall'umanissima descrizione dei rapporti interpersonali nelle storie dei goffi e perdenti protagonisti dei film di Apatow ('Suxbad', 'Molto incinta'). 'American Reunion' è derivativo della poetica di Apatow esattamente come 'American Pie' lo era di quella dei Farrelly. I cinque protagonisti storici della serie (l'imbranato Jim, il sedicente filosofo Finch, il rassicurante Kevin, lo sportivo Ostreicher, il vulcanico Stifler) si ritrovano dodici anni dopo il diploma, trentenni e piuttosto insoddisfatti. Sono un bell'esempio impietoso dell'americano medio. La maggior parte di loro è frustrata dal lavoro o, comunque, da una quotidianità che li imprigiona. Il sesso, ora, non è più una scoperta adolescenziale. Non è altro che un pretesto per ritrovarsi insieme e tentare di rivivere un determinato periodo della loro vita, destinato a non ripetersi più. 'American Reunion' rischia addirittura di rivelarsi il capitolo migliore, proprio perchè è una fotografia dolceamara dei sogni giovanili perduti. Ed è, comunque, sorretto da una vitalità comica straordinaria. Il colpo vincente di tutti gli American Pie è la caratterizzazione dei protagonisti, marcatamente diversi tra loro, eppure non stereotipati. Chiunque potrebbe riconoscersi in ciascuno di loro. Il capogruppo Jim è la gaffe per antonomasia, il bravo ragazzo che, per incredibile maldestrezza, si ritrova in situazioni esattamante opposte alla sua essenza. Finch è l'eterna illusione, l'intellettuale che inneggia alle donne mature, al buon vino e alla pace dei sensi ma che non è in grado di mettere in atto le sue aspirazioni. Kevin è il conformista, il ragazzo della porta accanto che si accontenta di poco ma che è ancora innamorato della ragazza del liceo. Ostreicher si rivela il personaggio più aspro: lo sportivo belloccio che finisce per essere un prodotto dello star system, contro la sua volontà. Quasi una demolizione del classico Sogno Americano. E, infine, Stifler, il ruolo-chiave del distruttore. Eternamente adolescente, immaturo, incapace di instaurare rapporti umani che vadano oltre lo scherzo e la goliardia. 'American Reunion' non è il classico sequel, finalizzato all'incasso immediato (arriva nove anni dopo 'Il matrimonio'). Sotto la risata grassa, nasconde una nostalgia canaglia, oltre alla solita celebrazione cameratesca dell'amicizia. E, come Apatow e i Farrelly, inquadra quel lato della vita perennemente fisso sullo specchio retrovisore. Alla faccia di Maurizio Porro.
Emiliano Dal Toso
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