Correrò il rischio di passare per noioso e fighetto, ma non mi stancherò di ripetere che la Francia è il paese più ispirato in questo momento storico, cinematograficamente parlando. Philippe Lioret lo avevamo conosciuto per il toccante 'Welcome'. Oggi, si ripropone con 'Tutti i nostri desideri', dramma privato e pubblico, più equilibrato, difficile, ostico del suo predecessore. Così come 'Welcome' era figlio dei tempi di Sarkozy, quest'ultimo sembra essere il primo rappresentante dell'era Hollande. La magnifica Marie Gillain è un giudice e una giovane madre, che scopre di avere un male incurabile. A fare da spalla è Vincent Lindon (il maestro di nuoto di 'Welcome', ancora indimenticabile), collega più maturo, al quale chiede di occuparsi del suo ultimo processo, dal quale è stata sospesa per legittimo sospetto. Lioret non è troppo interessato a quello che succede, ma a come succede. Il fulcro del suo cinema sono i legami che si evolvono e che si consolidano. Di fronte alla malattia, la protagonista sceglie di non condividere con i familiari il suo dolore ma di portare a termine i suoi obiettivi, affrontando il tempo che le rimane con dignità e coraggio. Il rapporto che instaura con il collega è uno dei più intensi, autentici e adulti ritratti di stima reciproca, professionale e umana, tra un uomo e una donna. Il regista bada al sodo, è asciutto e essenziale, ma si caratterizza per una abilità davvero rara: quella di far interessare lo spettatore all'evoluzione delle relazioni interpersonali, calorose, mai pericolose. Ed è clamorosamente onesto, dal momento che non si palesa mai il dubbio che possa sorgere la scorciatoia adulterina, bensì solo la possibilità di un ultimo grande approccio al genere umano. I due personaggi di Gillain e Lindon, infatti, sono di una bellezza straordinaria: dal vicendevole amore per la giustizia e per i più deboli al reciproco sostegno, fatto di nuove, semplici scoperte (il rugby, la musica di Rickie Lee Jones). Nel frattempo, Lioret affronta anche temi sociali, che rimangono però più sullo sfondo: le pubblicità ingannevoli delle società che propongono prestiti, la necessità di un lavoro che garantisca una sopravvivenza decorosa. E, soprattutto, una concezione del diritto da applicare in relazione alle singole necessità e non secondo l'interpretazione letterale. Come succedeva in 'Welcome', non è facile non abbandonarsi all'emozione e alla commozione di una storia che pone al centro le ingiustizie e i lati più teneri e gioiosi dell'esistenza (anche in questo caso, lo sport ha un ruolo fondamentale: non solo il rugby ma nuovamente il nuoto, centrale in una struggente sequenza). E, a differenza di 'Welcome', non è più il dramma sociale a scuotere ma quello privato. 'Tutti i nostri desideri' è solo un altro grandissimo film.
Emiliano Dal Toso
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