venerdì 2 gennaio 2015

The Imitation Game

Diamo avvio al nuovo anno con uno dei titoli che sembra certo di essere tra i protagonisti della prossima notte degli Oscar: 'The Imitation Game', con il lanciatissimo Benedict Cumberbatch della serie tv 'Sherlock' nei panni di Alan Turing, il matematico che decifrò il codice Enigma usato dai nazisti. Non ci sono dubbi che si tratti di un'opera che ha tutte le carte in regola per piacere ai giurati dell'Academy: un biopic dalla confezione elegante, politicamente corretto, sorretto da un cast impeccabile. Infatti, oltre all'interpretazione sofferta e convincente di Cumberbatch, il film deve molto alla fotografia di Oscar Faura, alla colonna sonora di Alexandre Desplat e anche ai ruoli di contorno, al brillante Matthew Goode (l'affascinante futuro campione di scacchi Hugh Alexander) e alla sempre intensa e bellissima Keira Knightley (Joan Clark, la donna che coprì l'omosessualità di Turing). Tutti i nomi fino a ora citati probabilmente otterranno almeno la nomination per l'ambita statuetta. E se la meriterebbero. Sarebbe un po' troppo generoso se dovessero essere candidati anche la regia elementare del carneade Morten Tyldum e la sceneggiatura di Graham Moore, che non ha il coraggio di addentrarsi in maniera specifica negli aspetti più scientifici della ricerca e degli studi di Turing e si perde un po' nel finale, tra flashback e flashforward, concentrandosi con ruffianeria sulle preferenze sessuali del protagonista, che lo costrinsero a una vita tormentata e all'obbligo di castrazione chimica. Eppure, per quanto 'The Imitation Game' sia un prodotto pensato apposta per gli Oscar, non si può affermare che sia carente di momenti emozionanti. Soprattutto, nell'elogio della collaborazione tra individui tendenti all'isolamento e nel valore della vittoria professionale il film centra il bersaglio. Stimolante, poi, la riflessione su un possibile rapporto tra uomo e donna vissuto nel quotidiano, basato sulla reciproca stima intellettuale, affettuoso ma libero e privo di esclusività. Non mancano frasi ad effetto, né scene madri, ma non sono invasive e non si ha mai l'impressione di essere di fronte ad un'agiografia, tutt'altro. Turing si fa volere bene dallo spettatore proprio grazie alle sue debolezze, alla sua naturale diffidenza nei confronti delle relazioni corali. Si tratta, dunque, di uno di quegli esempi di cinematografia dalla grande valenza pedagogica, che insegnano senza infastidire: non è una novità per una produzione angloamericana e il precedente de 'Il discorso del Re' lo testimonia. Le didascalie finali sottolineano l'importanza di Alan Turing per la tecnologia mondiale e per l'invenzione dei computer ma si limitano a constatarne il suicidio, senza precisare le modalità. Turing si tolse la vita morsicando una mela intinta nel cianuro: secondo alcuni, il logo della Apple, quello della mela morsicata, è un omaggio al genio dell'uomo che contribuì a sconfiggere il nazismo.

Emiliano Dal Toso



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