giovedì 8 marzo 2012

Cesare Deve Morire (voto 10) IL FILM DEL MESE

Il risultato di 'Cesare deve morire' è incredibile. Si fa fatica a credere, infatti, che gli autori del più sperimentale e coraggioso lungometraggio italiano (almeno) del nuovo millennio siano due registi ultraottantenni, ormai praticamente del tutto fuori dai maggiori circuiti e dall'interesse della stampa, diventati uno stereotipo di un certo cinema d'autore un po' prolisso e pesante. Con 'Cesare deve morire' i fratelli Taviani firmano un'opera che ha il coraggio di porsi una domanda fondamentale, ovvero quale funzione debbano avere il teatro, il cinema e, di conseguenza, la cultura. E, in fondo, domandarsi se abbia davvero significato il termine di artista. In un Paese nel quale la retorica ha preso il sopravvento e nel quale vengono fatti proclami e rimproveri sul livello culturale da personaggi che si autodefiniscono artisti senza avere alcun motivo concreto e reale per farlo, i Taviani ri-definiscono il significato di cultura e di arte come bisogno primario dell'uomo. Per farlo, utilizzano la forza innovativa del cinema e la sua capacità di sperimentare e riprendono un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia durante la preparazione dello spettacolo teatrale di Shakespeare 'Giulio Cesare'. Teatro come unico motivo di riscatto, come unica possibile via di fuga. Gli attori-detenuti entrano immediatamente in sintonia con i personaggi che devono interpretare. Da una parte perchè le vicende dell'opera shakespeariana non sono poi così lontane da quelle che hanno vissuto in prima persona nel loro inferno privato, dall'altra perchè nella loro condizione galeotta non hanno alcuna difficoltà nell'assumere un ruolo, un carattere, una posizione che dietro la cella non possiedono. I protagonisti di 'Cesare deve morire' sono un corpo neutro, assente che, grazie all'allestimento teatrale, diventa concretezza e presenza. Non è un caso che i due registi riprendano ogni sequenza del 'Giulio Cesare' in un luogo del carcere differente. Ed è qui che entra il gioco l'incredibile forza del linguaggio cinematografico. In un luogo chiuso e confinato, i Taviani ribadiscono il concetto di spazialità e, nello stesso tempo, di essenzialità. Laddove il teatro è istantaneo e locale, il cinema è continuativo e universale e, soprattutto, sconfinato. E questa sconfinatezza può essere resa anche nel luogo per eccellenza di negazione della libertà. Un altro aspetto della straordinaria operazione di ricerca cinematografica è costituito dall'utilizzo dei dialoghi. Quasi completamente le battute del film sono quelle del 'Giulio Cesare', l'intreccio narrativo principale è quello shakespeariano. Eppure, è il modo con il quale vengono detto le battute, l'energia, la simbiosi dell'attore con il personaggio a essere il vero centro del discorso. Ed, infine, la scelta del bianco e nero finalizzata alla descrizione di un ambiente irreale e innaturale, che diventa colore soltanto nel momento della rappresentazione finale davanti al pubblico. 'Cesare deve morire' è una scelta politica che sculaccia la presunzione, l'autocommiserazione di chi si ritiene superiore a quasi tutti gli altri. E' un film intellettuale e anti-intellettualistico. E' un capolavoro sul concetto di eguaglianza. Se il vincitore dell'Oscar di quest'anno 'The Artist' è un inno al Cinema, il vincitore dell'Orso d'Oro è un inno alla Cultura. Bello e senza confini.


Emiliano Dal Toso

Nessun commento:

Posta un commento