Microcosmo atipico parte seconda. Dopo il bel post di Alvise Wollner sul Trieste Film Festival, ecco un secondo approfondimento su una bella realtà milanese, il Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina. Un Festival che rivendica la sua totale indipendenza e autonomia, che rifugge ogni tentazione glamour e bada al sodo, alla sostanza, al contenuto. Alla qualità. Un Festival che non offre pellicole "carine" o esotiche ma che si concentra su opere cinematografiche vere, anche di genere, provenienti da luoghi nei quali di cinema se ne fa e anche bene ma che difficilmente hanno la possibilità di oltrepassare i propri confini nazionali. La settimana dal 19 al 25 marzo è stata molto intensa e ben programmata e l'organizzazione ha dato spazio non solo alle proiezioni, ma anche a incontri, conferenze stampa, concerti e, perchè no, happy hour molto particolari. I cinema che sono stati coinvolti sono vere e proprie chicche, posti di culto della cinefilia milanese: lo Spazio Oberdan, l'Auditorium San Fedele, il Teatro Rosetum, il Palestrina e l'Institut Francais. Ma passiamo a parlare dei film. Tra gli otto lavori che abbiamo avuto l'opportunità di vedere, qualcuno lo abbiamo trovato pessimo, un paio mediocri, un paio discreti e tre di fattura eccelsa. Al terzo posto troviamo la sorpresa del Festival, il tunisino 'Always Brando' di Ridha Behi. Esempio raro di cinema sperimentale, si è contraddistinto per l'alternanza coerente e fluida tra racconto documentaristico e finzione. Un forte e chiaro atto d'accusa alle produzioni hollywoodiane contemporanee, ree di utilizzare il mondo arabo per fini commerciali, trattando con superficialità il tema del terrorismo (e i bersagli sono chiaramente citati: 'Black Hawk Down', 'Green Zone', 'Syriana' tra gli altri). Un bel tono umoristico rende la visione per nulla faticosa e più di una sequenza è riuscita a strappare la risata. Al secondo posto posizionerei uno dei due veri capolavori della rassegna, ovvero il marocchino 'Sur la planche (Al limite)' di Leila Kilani, che aveva già partecipato alla Quinzaine di Cannes e che ha vinto il Festival di Taormina. La regista racconta con grande crudezza ed essenzialità la sopravvivenza di due ragazze ai margini della società, pulitrici di gamberetti di giorno e ladre-prostitute di notte. Un approccio che mi ha ricordato per la prima parte il cinema etico e viscerale dei fratelli Dardenne, mentre nella seconda parte la tensione, l'abilità narrativa, la costruzione da vero e proprio noir sociale mi hanno fatto pensare ai capolavori di Jacques Audiard ('Tutti i battiti del mio cuore', 'Il profeta'). Eccezionali le due protagoniste. Al primo posto, il vincitore della rassegna, ovvero il senegalese 'Aujord'hui' di Alain Gomis. Non succede spesso di trovarsi d'accordo con le scelte di una giuria ma, stavolta, non possiamo che considerare sacrosanto il riconoscimento attribuito dal presidente Marco Bechis. Il regista segue gli incontri, le esperienze, le suggestioni di Satchè durante il suo ultimo giorno di vita. Non sappiamo perchè e come morirà, semplicemente osserviamo il suo viaggio di ventiquattro ore verso l'accettazione della morte. Dominato da una luminosità spirituale, il film è uno straordinario percorso nella tradizione africana, nella sua filosofia, nella sua ritualità. Un cinema capace, però, di essere universale, popolare e di non porsi limiti sulle infinite possibilità della macchina da presa di creare visioni ed emozioni.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso
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