Con i fantasmi dell'Est inauguriamo la nuova rubrica di approfondimento. Ogni mese un filo conduttore differente terrà legati alcuni di quei film che costituiscono la nostra passione.
Romania, 1987. Nel regime di Ceauşescu l'aborto è illegale da ormai ventun anni, da quando un decreto, inserito nella politica di incentivazioni della nascite, lo proibisce esplicitamente (insieme, tra l'altro, ad ogni tipo di contraccezione). Il mercato nero è ormai all'ordine del giorno; alla Casa dello Studente, si “spacciano” Tic-tac, gomme da masticare e Marlboro. Le Kent sono quasi introvabili. In questo regime agli sgoccioli, anche l'aborto appartiene al monopolio del mercato nero; il rischio del carcere non è sufficiente ad inibire la totalità dei medici dal praticare l'interruzione di gravidanza illegalmente: alcuni lo fanno perché ne sentono il dovere morale, altri, senza scrupoli, soltanto per soldi (e parecchi). La storia che Cristian Mungiu ci racconta - sua anche la sceneggiatura - è la vicenda di una studentessa ingenua e impreparata che, incinta da 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, si trova ad avere a che fare con questo mondo duro e spietato, l'unico che, pur costringendola all'illegalità, le consente di tradurre in atto la sua scelta di non portare a temine la gravidanza. Al suo fianco un'amica solo un'amica. Il film è straordinario innanzitutto per la forza che riesce a trasmettere, anche senza la necessità di un'azione troppo pronunciata. Le riprese degli interni sono lunghe e statiche, i dialoghi (ottimi) sembrano procedere lentamente e inesorabilmente verso l'inevitabile mancanza di una via d'uscita. Non c'è scelta. La mancanza di una soluzione legale al problema costringe la ragazza a mettersi nelle mani di un individuo che è in grado di dettare le regole del gioco, dalla prima all'ultima («siete voi ad avermi chiesto aiuto, non io»),con tutto l'imbarazzo di una ragazza per bene che entra nei meccanismi e nei giochi perversi di un criminale con il coltello dalla parte del manico. Il momento chiave della narrazione è rappresentato da è quello che avviene nella stanza d'albergo prenotata per effettuare l'operazione. In quella stanza il gioco del regista è magistrale e la soggettività delle inquadrature - mi pare di intuire che il film sia girato totalmente con una telecamera a mano – ci aiuta a stare vicino all'individuo, a non giudicare, ad accettare gli errori (o presunti tali) come un semplice fatto umano irrevocabile, di cui ora si stanno pagando tutte le conseguenze, e anche di più. Troppo di più. Molto interessante, dal punto di vista stilistico, la scena della cena; un tocco di commedia lontano, lontanissimo da quella stanza d'albergo. In questo film c'è molto del cinema romeno, infinitamente debitore dell'opera di Kieślowsky e, contemporaneamente, vicino alla scuola francese.
Giancarlo Mazzetti
Romania, 1987. Nel regime di Ceauşescu l'aborto è illegale da ormai ventun anni, da quando un decreto, inserito nella politica di incentivazioni della nascite, lo proibisce esplicitamente (insieme, tra l'altro, ad ogni tipo di contraccezione). Il mercato nero è ormai all'ordine del giorno; alla Casa dello Studente, si “spacciano” Tic-tac, gomme da masticare e Marlboro. Le Kent sono quasi introvabili. In questo regime agli sgoccioli, anche l'aborto appartiene al monopolio del mercato nero; il rischio del carcere non è sufficiente ad inibire la totalità dei medici dal praticare l'interruzione di gravidanza illegalmente: alcuni lo fanno perché ne sentono il dovere morale, altri, senza scrupoli, soltanto per soldi (e parecchi). La storia che Cristian Mungiu ci racconta - sua anche la sceneggiatura - è la vicenda di una studentessa ingenua e impreparata che, incinta da 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, si trova ad avere a che fare con questo mondo duro e spietato, l'unico che, pur costringendola all'illegalità, le consente di tradurre in atto la sua scelta di non portare a temine la gravidanza. Al suo fianco un'amica solo un'amica. Il film è straordinario innanzitutto per la forza che riesce a trasmettere, anche senza la necessità di un'azione troppo pronunciata. Le riprese degli interni sono lunghe e statiche, i dialoghi (ottimi) sembrano procedere lentamente e inesorabilmente verso l'inevitabile mancanza di una via d'uscita. Non c'è scelta. La mancanza di una soluzione legale al problema costringe la ragazza a mettersi nelle mani di un individuo che è in grado di dettare le regole del gioco, dalla prima all'ultima («siete voi ad avermi chiesto aiuto, non io»),con tutto l'imbarazzo di una ragazza per bene che entra nei meccanismi e nei giochi perversi di un criminale con il coltello dalla parte del manico. Il momento chiave della narrazione è rappresentato da è quello che avviene nella stanza d'albergo prenotata per effettuare l'operazione. In quella stanza il gioco del regista è magistrale e la soggettività delle inquadrature - mi pare di intuire che il film sia girato totalmente con una telecamera a mano – ci aiuta a stare vicino all'individuo, a non giudicare, ad accettare gli errori (o presunti tali) come un semplice fatto umano irrevocabile, di cui ora si stanno pagando tutte le conseguenze, e anche di più. Troppo di più. Molto interessante, dal punto di vista stilistico, la scena della cena; un tocco di commedia lontano, lontanissimo da quella stanza d'albergo. In questo film c'è molto del cinema romeno, infinitamente debitore dell'opera di Kieślowsky e, contemporaneamente, vicino alla scuola francese.
Giancarlo Mazzetti
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