E' stato davvero entusiasmante l'inizio della manifestazione milanese 'Cannes e Dintorni.' Il primo film che ho visto è stato il belga 'Les geants' di Bouli Lanners (voto 9) e, subito, le emozioni si sono fatte forti. E' la storia di tre adolescenti in campagna abbandonati a loro stessi, senza alcuna figura parentale che possa loro fare da guida. E' il classico romanzo di formazione e di crescita, sensibile e agrodolce. Mi ha ricordato moltissimo il vecchio cult 'Stand by me' con una grande differenza rispetto al suo illustre predecessore: in 'Stand by me' il tono era spesso sognante e magico mentre in 'Les geants' le (dis)avventure che affrontano i tre protagonisti sono sempre dettate da uno spirito un po' disperato di sopravvivenza, che riesce a passare sottopelle grazie allo straordinario legame che solo a quell'età può nascere da un rapporto di amicizia e fratellanza. E' un film delicatissimo che nasconde riflessioni piuttosto amare. La seconda opera è stata 'The Artist' di Michael Hazanavicius (voto 9), meravigliosa riflessione sulle innovazioni e sul cambiamento, sul successo e sulla decadenza. Straordinaria è l'interpretazione del protagonista Jean Dujardin, che ha giustamente vinto il Premio di Miglior Attore. Una sfida di un'ora e quaranta muta e girata in bianco e nero che riesce a tenere sempre un ritmo eccezionale grazie a due personaggi meravigliosi e a una storia bella, divertente e geniale. Nell'epoca del 3D, 'The Artist' è puro anticonformismo. Ma è soprattutto un grande omaggio all'eternità del cinema e alla sua forza popolare. Veniamo, infine, all'ultimo film di questa mia prima tornata, ovvero a quello che attendevo maggiormente. 'Melancholia' di Lars Von Trier (voto 8) è tutt'altro rispetto a ciò che mi sarei aspettato, cioè la seconda parte orrorifica di 'Antichrist.' Tematicamente il film riprende alcuni aspetti del precedente ma il controverso regista danese stavolta si contiene con i deliri visionari, limitandoli esclusivamente al comunque splendido incipit. Per il resto, si tratta di un ottimo lavoro di dialoghi e di recitazione. Trascinato da una bellissima e bravissima Kirsten Dunst e da una intensissima Charlotte Gainsbourg, 'Melancholia' prosegue il pensiero di Von Trier sul genere femminile che, come la morte, è l'alterità che non si può comprendere. La fine del mondo viene prima percepita e poi affrontata esclusivamente dalle due protagoniste, mentre gli uomini rimangono inabili e incapaci di fronte al corso degli eventi. Accusato di misoginia, Von Trier constata piuttosto l'inconciliabilità dei due mondi e le loro incolmabili differenze. Una teoria senz'altro discutibile, indubbiamente affascinante. Se solo nelle conferenze stampe Lars Von Trier evitasse sparate che probabilmente non pensa nemmeno, forse sarebbe anche più rispettato dai critici più rigorosi.
venerdì 10 giugno 2011
venerdì 3 giugno 2011
Zack And Miri Make A Porno (voto 8) IL FILM DEL MESE
Parecchie polemiche per la presenza della parola "porno" si sono scatenate negli Stati Uniti all'uscita dell'ottavo film di Kevin Smith, tanto che per l'uscita home video il titolo è stato ridotto in 'Zack And Miri.' Noi italiani, invece, abbiamo dovuto aspettare addirittura due anni perchè venisse distribuito col terribile 'Zack e Miri - Amore a primo sesso.' Preferisco, dunque, chiamarlo col bellissimo titolo originale anche perchè si tratta decisamente del film più divertente di Kevin Smith e del suo più riuscito dopo l'indimenticabile debutto grunge di 'Clerks.' A dire la verità, 'Zack And Miri Make A Porno' è una vera sfida al politicamente corretto, un'opera infarcita di battute e situazioni dalla volgarità inenarrabile al limite dell'imbarazzante. Ciononostante, è un film demenziale squisitamente costruito e intelligente, sullo stile dei film di Judd Apatow. L'accostamento demenziale a intelligente può sembrare un ossimoro ma la creatività e l'anarchia che hanno spesso caratterizzato il cinema di Smith garantiscono questo frizzante connubio. La trama è semplice. Due vecchi amici che convivono e che si trovano senza soldi decidono di girare un film porno per pagare le bollette. Lui è Seth Rogen e lei è Elizabeth Banks ed entrambi si giurano che l'atto sessuale che li vedrà protagonisti non metterà a repentaglio la loro ventennale amicizia. Ovviamente, le cose non andranno come previsto. Non mi sento di consigliare 'Zack And Miri Make A Porno' a chiunque, di certo non lo consiglierei ai miei genitori o a chi è infastidito dal genere demenziale e da dialoghi piuttosto coloriti. Lo consiglio senz'altro a tutti coloro che hanno voglia di un cinema scorretto e anticonformista. 'Zack And Miri Make A Porno' è liberatorio, oltraggioso ma tutt'altro che superficiale. La riflessione sul confine tra rapporto di amicizia e quello sentimentale non è meno brillante di 'Harry Ti Presento Sally' e l'equilibrio tra delirio e profondità mi ha ricordato 'Suxbad'. Il quid pluris di 'Zack And Miri Make A Porno' è, però, rappresentato da quel fenomeno comico di Seth Rogen. Occhialuti, grassocci, triviali, goffi e teneri, i suoi personaggi sono la miglior manifestazione della generazione nata negli anni 80 che non ha fatto la rivoluzione ma che ha nell'ironia l'arma migliore per affrontare le tragicommedie della vita. Bello e cattivo, ma non per tutti.

mercoledì 1 giugno 2011
Paul (voto 7)
Belli i sogni di giovinezza infranti. "Sono gli adesivi sulle pareti" cantavano i Massimo Volume. Storie di extraterrestri e fantascienza, di nerdismo eternamente adolescente. Dopo lo straordinario spaccato da pub inglese che incontra gli Zombie di Romero di 'Shaun Of The Dead' e il mezzo passo falso di 'Hot Fuzz', la scoppiettante coppia comica di quarantenni perdigiorno Nick Frost&Simon Pegg elabora un altro bell'omaggio al cinema di genere, stavolta lo sci-fi. Vanno in trasferta negli States, abbandonando il loro fedele regista Edgar Wright che aveva fatto luccicare la loro stravagante comicità nelle due opere precedenti e si affidano all'autore di due dei più grandi capolavori degli ultimi anni, ovvero Greg Mottola. 'Suxbad' e 'Adventureland' erano due scintillanti e struggenti parabole sulla fase di passaggio dall'acerbo al maturo, due facce della stessa medaglia che raccontavano, ora con frenetico genio demenziale ora con calda carezza sentimentale, i turbamenti i disagi i maldipancia dei primi sconquassi ormonali e dei primi batticuore emozionali. Lo metto subito in chiaro: 'Paul' è molto ma molto di più un film scritto da Frost&Pegg che un film dal tocco mottoliano. Le storie di formazione stavolta non sono affrontate, rimane solo la sana follia di un Autore che è l'unico vero erede di John Hughes e di John Landis. Le esplosioni comiche, però, sono garantite e il cast è davvero fantastico. Oltre alla ormai assortitissima coppia sopra citata, 'Paul' offre una vasta gamma di comprimari da applausi. Gli improbabili Joe Lo Truglio e Bill Hader, che già avevano dato tanto in 'Suxbad', sono due goffissimi poliziotti mentre il duro Jason Bateman è il loro arrogante superiore. Folle, poi, la comparsata di Sigourney Weaver in un finale del tutto sgangherato, eppure romantico. Frost&Pegg amano il cinema e hanno senz'altro amato la loro giovinezza da nerd, passata tra sbronze, giornaletti porno e fumetti. Stanno passando gli anni ma, grazie al cielo, i loro copioni rimangono possibile oggetto di preoccupanti studi psicologici sulla sindrome di Peter Pan. A differenza del presuntuoso cinema di Rodriguez, i loro inni cinefili sono ironici e autentici. C'è qualcosa di 'Paul', però, che non mi è piaciuto: l'idea di far doppiare il simpatico protagonista alieno a Elio. Non è possibile non immaginarsi Elio in sala di doppiaggio e ciò rischia di oscurare i pregi del film. Nella versione originale, il doppiatore è il monumentale Seth Rogen e, per questo, consiglio la visione di 'Paul' in lingua inglese, magari sottotitolata.
martedì 31 maggio 2011
Milano, 30 maggio 2011
Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei ballato Bob Marley in Piazza Duomo insieme a centomila persone. Esistono date e momenti da ricordare che rimarranno non solo nella memoria di ognuno di noi ma nella Storia. Ieri, è stata una di queste date. Giuliano Pisapia è diventato sindaco di Milano. Dopo diciotto anni di culturasoloperpochi, di differenze e distanze tra la milanocentro e la milanoperiferia, di assoluta mancanza di spazi che possano essere condivisi da chiunque e di proteste per i decibel troppo alti a san siro, di tagli alle manifestazioni culturali e di solitudine, di milano che si accende solo per i designer e per le modelle anoressiche, di demonizzazione dei centrisociali, di musica che a un certo punto della serata deve finire, di cinema che chiudono e chiudono, di mezzi pubblici che non ci sono e bisogna aspettare le sei del mattino, di COPRIFUOCO, forse questa città può cambiare. Ieri sera più di centomila persone hanno festeggiato la possibilità di un cambiamento. E chiunque ami l'idea che la cultura possa essere vissuta non solo da privilegiati ma da tutti non può non rallegrarsi per il fatto che GIULIANO PISAPIA SIA SINDACO DI MILANO.

lunedì 23 maggio 2011
The Tree Of Life (voto 7) IL FILM DEL MESE
Alla conferenza stampa di 'The Tree Of Life' di Terrence Malick, il film che ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes 2011, Brad Pitt afferma: "Abbiamo fatto un lavoro di preparazione e molte discussioni teologiche ma Tree non è un film religioso, e in particolare cristiano e cattolico. Piuttosto è permeato da una diffusa spiritualità, che cerca nella natura una poetica risonanza e una riconciliazione. Lasciando ad ognuno la possibilità di fare propria la sua storia. Nulla ho a che fare nella vita con il dogmatismo rigido del padre del fim ma Tree of life è stato una fonte di grande ispirazione per tutto il cast anche nel duetto tra il padre dei tre bambini e la moglie, che rappresenta la generosità materna e il dolore insanabile per la morte a 18 anni di uno di loro. Tree mi sembra un grande affresco impressionista. Malick ha messo bellezza, purezza, compassione e amore. A volte il sogno americano va in pezzi nel film, ma ce lo rimanda sempre e ancora la natura spiritualizzata." Sono abbastanza d'accordo con Brad.
A modo suo, Enrico Ghezzi descrive il cinema di Malick: "I suoi film sono tra i rarissimi in grado di mostrare non i contenuti del bicchiere, variamente analizzati scandagliati misurati, con tutti i luoghi comuni del mezzo pieno/mezzo vuoto, ma il mistero del bicchiere stesso, la sua trasparenza ingannevole e la seduzione della luce che ci ricordano quanto ogni cosa ogni forma ogni atomo siano mezzopieni mezzovuoti, mezzo dentro mezzo fuori, pena l'invisibilità." Sono piuttosto d'accordo con Ghezzi.
Paolo Mereghetti, invece, commenta così il film: "In Tree of life Malick si è fatto guidare dall'intuito, dalla visionarietà, dall'ambizione, senza chiedersi fino a dove la sua scommessa fosse intellegibile. Così, dopo essersi fatti affascinare da immagini straordinarie e aver seguito la scoperta della durezza della vita attraverso gli occhi di un adolescente, restiamo comunque con qualche dubbio, come di fronte a un'opera di cui si ammira l'ambizione ma che finisce anche per esserne un po' soffocata". Sono pienamente d'accordo col Merego.

A modo suo, Enrico Ghezzi descrive il cinema di Malick: "I suoi film sono tra i rarissimi in grado di mostrare non i contenuti del bicchiere, variamente analizzati scandagliati misurati, con tutti i luoghi comuni del mezzo pieno/mezzo vuoto, ma il mistero del bicchiere stesso, la sua trasparenza ingannevole e la seduzione della luce che ci ricordano quanto ogni cosa ogni forma ogni atomo siano mezzopieni mezzovuoti, mezzo dentro mezzo fuori, pena l'invisibilità." Sono piuttosto d'accordo con Ghezzi.
Paolo Mereghetti, invece, commenta così il film: "In Tree of life Malick si è fatto guidare dall'intuito, dalla visionarietà, dall'ambizione, senza chiedersi fino a dove la sua scommessa fosse intellegibile. Così, dopo essersi fatti affascinare da immagini straordinarie e aver seguito la scoperta della durezza della vita attraverso gli occhi di un adolescente, restiamo comunque con qualche dubbio, come di fronte a un'opera di cui si ammira l'ambizione ma che finisce anche per esserne un po' soffocata". Sono pienamente d'accordo col Merego.
mercoledì 18 maggio 2011
Hai Paura Del Buio (voto 7)
Rischia di passare inosservato il bel debutto cinematografico di Massimo Coppola, conosciuto per essere stato l'autore di due programmi cult della MTV Generation come 'Brand: New' e 'Avere vent'anni'. Ed è davvero una sorpresa scoprire che l'esperienza televisiva ha fatto sì che Coppola acquisisse immediatamente una maturità e una sensibilità artistica davvero rilevante. Infatti, 'Hai paura del buio' recupera le finalità che erano state poste con 'Avere vent'anni': raccontare squarci giovanili di Italia che non sono quelli delle discoteche e dei tronisti ma quelli delle fabbriche, del precariato e dell'emarginazione. E' solo un pretesto il fatto che una delle due protagoniste sia una romena venuta in Italia per trovare, forse, una stabilità economica. Perchè non sono la denuncia nè i lati disperati dell'immigrazione il fulcro del racconto, bensì la difficoltà esistenziale e l'infanzia tradita di due ragazze, diverse per carattere ma simili per determinazione e per paure. Lo stile registico ricorda molto il cinema dei fratelli Dardenne, per ambientazioni e per il fatto che la macchina da presa è spesso incollata alle protagoniste, le segue e non le molla mai mentre si affannano per ritagliarsi il loro pezzetto di vita. Come in 'Rosetta', sono assenti ogni tipo di consolazione e di buonismo ma 'Hai paura del buio' è un pugno nello stomaco sobrio che accarezza ed emoziona nella splendida scena del confronto-scontro tra Eva (interpretata dall'ottima Alexandra Pirici) e sua madre. Infine, non è possibile non apprezzare un film che ha come filo conduttore la colonna sonora dei Joy Division e di PJ Harvey. Coppola ama la musica e lo sapevamo ma che amasse anche così tanto il cinema al punto da regalarci il terzo dei migliori esordi italiani degli ultimi anni (i primi due sono 'Dieci Inverni' di Mieli e 'La pecora nera' di Celestini) è un fatto davvero eccezionale.
sabato 7 maggio 2011
Machete (voto 4)
Premetto che questa recensione mi farà perdere molta popolarità ma non posso far altro che esprimere in maniera libera quello che penso veramente del cinema fighetto di Robert Rodriguez. Il suo processo di destrutturazione del cinema concepito come mezzo artistico e intellettuale continua anche con la sua ultima fatica. Non sono bastati i vari 'Dal tramonto all'alba', 'Sin City', 'Planet Terror' per farci convincere che non è interessato ad altro che a puntare alla palma del regista più cool dell'anno. Anche con 'Machete', ogni scena, ogni battuta è solo artificiosa, ideata già con la consapevolezza che diventerà un cult. Non esiste spontaneità nel suo modo di vivere il cinema, non c'è mai un bisogno di espressione artistica alla base di ogni sua opera. Il suo cinema non è parodia demenziale perchè non sono mai presi in considerazione i tempi e i ritmi comici. Rodriguez recupera il cinema di serie B infarcendolo di umorismo esibizionista, che non è necessità ma solo ricerca di forma e di stile. Esistono grandissimi registi che girano B-movie esprimendosi in maniera autentica e costruendo racconti veri e veri personaggi. Mi vengono in mente Carpenter o Sam Raimi. Nel cinema di Rodriguez ci sono solo macchiette costruite per diventare idoli che vanno bene per lo sfondo del computer o per il poster in cameretta. Il suo cinema non è nemmeno un omaggio perchè fa dello sberleffo e dell'assurdo il proprio motto d'orgoglio (per dire, 'Il grinta' dei Coen è un omaggio). 'Machete' è un divertissement cerebrale girato da un figlio di papà che annulla ogni lato emozionale e personale del farecinema. Tutto quanto è calcolato perchè sia apprezzato come roba figa, perchè è divertente per chi non ha un gusto cinematografico ed è citazionista e colto per chi ha il palato fine da cinefilo. So bene che qualcuno penserà che io sia un intellettual-snob che non sa godersi un divertimento senza pretese. Ma 'Machete' di pretese ne ha, proprio perchè l'obiettivo non è quello di abbandonarsi al solo piacere dell'esperienza cinematografica ma quello di raggiungere lo status quo di superfichissimo. E in tutta questa pagliacciata, l'unica vera superfichissima è Jessica Alba. Aridatece scarymovie.

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