domenica 15 gennaio 2012

L'Industriale (voto 5)

E' bello ritrovare un cineasta storico come Giuliano Montaldo, genovese, classe 1930, autore di grandissimo cinema italiano, che ha regalato pellicole infuocate, ancora oggi di grande potenza come 'Sacco e Vanzetti' e 'Giordano Bruno'. Qualche anno fa era già ricomparso dopo un silenzio ventennale con 'I demoni di San Pietroburgo', adottando un linguaggio molto vicino allo sceneggiato televisivo. 'L'industriale', però, segna il vero ritorno di Montaldo alla denuncia, a quel tipo di cinema che lo ha reso importante e per il quale verrà ricordato. Purtroppo, però, il tentativo di inquadrare il momento storico-politico-economico che il film si pone sin dalle premesse fallisce. Partiamo dai (pochi) lati positivi. Una grande eleganza caratterizza tutta l'opera, d'altronde il vecchio Montaldo conosce i trucchi del mestiere: la macchina da presa è sempre al posto giusto ma, soprattutto, una città come Torino viene fotografata in modo esemplare, cupissima e plumbea. La tonalità monocromatica grigio-scura che il regista utilizza è efficacissima, sia negli interni, ai fini della descrizione della buona borghesia, che negli esterni, come a voler sottolineare il fatto che non ci sia possibilità di fuga dalla drammatica situazione nella quale si ritrova il protagonista. A tal proposito. Pierfrancesco Favino si conferma un attore strepitoso, versatile, intensissimo. Lo stesso non si può dire di Carolina Crescentini, attrice che va ammirata sicuramente di più per la bellezza che per la bravura. Dopo i primi ottimi venti minuti, 'L'industriale' si perde in un feuilleton già visto più volte nel cinema italiano: la digressione sentimentale ingombra eccessivamente quello che doveva essere il fulcro del discorso e, alla fine, si ha l'impressione di aver assistito alla solita storiella della coppia in crisi piuttosto che a un'opera attuale e impegnata. Non si può negare che un capolavoro come 'Il Divo' di Sorrentino ha posto l'asticella per il cinema italiano di ricerca politica decisamente più in alto rispetto a prima: il ritmo indiavolato e aggressivo sono del tutto assenti nel lavoro di Montaldo e anche questa volta si fa fatica a negare che lo stile da fiction televisiva prenda il sopravvento. La lezione sorrentiniana, ad esempio, è stata del tutto appresa da Molaioli che ne 'Il Gioiellino' (il film sul crac Parmalat uscito qualche mese fa) utilizzava tutt'altro linguaggio, più violento e caustico, per raccontare le falle del sistema capitalistico. Ne 'L'industriale' non si capisce se il dramma del protagonista sia più per motivi economici o sentimentali e le conseguenze che la crisi comporta sono analizzate in maniera completamente superficiale. Per non parlare del finale, consolatorio e cerchiobottista. Ci prenderemmo in giro se dicessimo che un vecchio leone è tornato a ruggire. La verità è che un eccesso di glorificazione e di timor reverentia nei confronti di chi ha scritto parte della storia del cinema italiano porta a scambiare fischi per fiaschi. Il miglior omaggio che si può fare è quello di prendersi il dizionario del cinema e di andarsi a cercare i vecchi lavori di Giuliano Montaldo.

Emiliano Dal Toso

 

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