lunedì 13 gennaio 2014

Il Capitale Umano VS. La Grande Bellezza

Ho visto recentemente 'Il Capitale Umano' di Paolo Virzì e, nel giorno dell'assegnazione del Golden Globe come miglior film straniero a Paolo Sorrentino per 'La Grande Bellezza' (premio che lo rende il favorito principale alla notte degli Oscar), è stato per me inevitabile raffrontare i due lavori. Per l'amor di dio, sono due film diversissimi, e non è obbligatorio trovarci, per forza, qualcosa in comune. Personalmente, a me diverte molto di più farlo che non farlo, mi sembra un giochetto divertente, anche se non del tutto corretto. Va detto che per entrambi è indubbio che ci sia l'ambizione di gettare uno sguardo sulla contemporaneità del nostro Paese, in maniera alquanto critica. Su entrambi, si cela l'ombra delle conseguenze del berlusconismo: nel film di Sorrentino, è inutile negarlo, sono chiari i riferimenti alla degenerazione dei costumi, alla disillusione, al trionfo del vacuo e del superficiale; in quello di Virzì, invece, i temi centrali sono l'avidità e la centralità del denaro e degli interessi economici nei rapporti interpersonali. Ora, non voglio entrare nelle polemiche relative a quanto questi film rappresentino più o meno correttamente il nostro Paese. Mi interessa, però, soffermarmi sul modo diverso con il quale i due registi si sono approcciati al loro obiettivo: Virzì sceglie di adottare un genere ben preciso, quello del noir, adottando oltretutto uno schema narrativo anticonvenzionale (il film è suddiviso in quattro capitoli, ciascuno dei quali ha un punto di vista differente); Sorrentino, invece, preferisce un approccio molto più anarchico e meno schematico. Ciononostante, per quanto apparentemente più libero, è proprio il film di Sorrentino a essermi sembrato più schiavo delle sue convinzioni e della sua retorica. 'La Grande Bellezza' non riesce mai ad andare veramente fuori dal macchiettismo dei suoi personaggi, da un certo autocompiacimento registico, e, soprattutto, trova proprio nella gestione narrativa e nella sceneggiatura i suoi punti più deboli: troppi passaggi vengono lasciati in sospeso, talmente è tanta la carne al fuoco, e i riferimenti colti e letterali sembrano più uno sfoggio ridondante e intellettualistico, piuttosto che una reale necessità. Il risultato è quello di un film che sembra voglia sparare su un universo borghese, palesemente ridicolo e volgare, troppo facile da prendere come bersaglio. Aggiungo che non sono affatto sorpreso che 'La Grande Bellezza' possa piacere agli americani, o meglio, penso che piaccia proprio perchè rappresenta bene l'idea che hanno gli americani di noi: quella di un Paese simpatico, guascone, che sa anche fare autocritica, autocelebrandosi (dopotutto, Roma è sempre la città più bella del mondo). Tutte queste caratteristiche non si ritrovano certamente ne 'Il Capitale Umano'. Per quanto il tono del regista livornese sia più ironico che veramente sarcastico, mi è sembrato che il ritratto alto-borghese dei personaggi risulti più feroce e meno ruffiano. E questo, soprattutto grazie a una solida costruzione narrativa, a una trama semplice che non viene mai lasciata al caso. Ne 'Il Capitale Umano' tutto torna, ogni suggestione, emotiva e narrativa, ha la sua chiusura del cerchio. In questo modo, la robustezza dell'incastro risulta in grado di offrire una particolare credibilità al contesto: la Brianza descritta da Virzì è davvero un luogo universale, nel quale tutto ha una valutazione economica, non esistono altri criteri di valutazione, non hanno senso altre sfumature. Ne 'Il Capitale Umano', la scelta vincente è quella di optare per delle regole (narrative e di genere) precise e definite: non c'è spazio per superflue considerazioni filosofiche, e si evitano concessioni a un certo tipo di retorica un po' populista. Eppure, ne viene fuori una rappresentazione di una certa Italia più complessa e più inquietante, per la quale non è mai davvero possibile provare un po' di compassione, e non è possibile trovare un minimo di consolazione.

Emiliano Dal Toso



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