Federico Brugia è il marito della famosa cantante italiana Malika Ayane. Ha diretto alcuni dei suoi videoclip. Possiede una casa di produzione cinematografico-pubblicitaria che si chiama "The Family". "The Family" ha prodotto il suo primo lungometraggio, "Tutti i rumori del mare". Un tizio senza nome fa il corriere per certi criminali ungheresi. Trasporta future mignotte dall'Europa dell'Est all'Italia. Fa questo lavoro per scordare se stesso e un passato che nel film non si scoprirà, ma che pare esser stato doloroso. Un giorno gli danno da trasportare una povera mentecatta che dipinge tutto ciò che vede con immaginarie chiazze di inchiostro nero. Questo incontro, in qualche modo, porta l'innominato ad un ritorno nel sè, o alle origini, se preferite. Il film è caratterizzato da colori tenui, glaciali, che hanno cominciato con insistenza ad affacciarsi sul cinema italiano con "Le conseguenze dell'amore" di Sorrentino, e che pare debbano tormentarci ancora a lungo. Tecnicamente e formalmente bello. Ottime inquadrature, discreti movimenti di macchina. Noioso, però. La scelta di un protagonista afasico non sarebbe neanche male, Kim Ki Duk l'ha fatto ne "L'arco" (lì i protagonisti erano addirittura due) e la cosa gli è girata. A Brugia, la cosa non gira per niente, perchè questa mancanza di parole è sostituita da un effluvio verbale fuori campo che vi martellerà i coglioni con banalità insulse sul senso della vita, sulla voglia di fuga, sul concetto del passato che oscura le possibilità del futuro, su una non meglio definita insoddisfazione esistenziale, che non viene da nessun luogo e non va da nessuna parte. I comprimari sono ridotti spesso a macchiette, oppure sono del tutto inverosimili, come il romantico e cocainomane lord inglese che, non si sa bene perchè, è finito a fare criminal management per una pseudomafia ungherese da barzelletta. La trama ha numerosi piccoli buchi, intendo proprio dal punto di vista della credibilità evenemenziale, peccato perdonabile, ma solo se il film fosse un capolavoro, e non lo è assolutamente. Poi, un'altra cosa. Per favore, smettiamola di chiamare "noir" qualsiasi pellicola, o libro, che abbia una atmosfera vagamente cupa. Il Noir è qualcosa di ben preciso, sia nel cinema che in letteratura, ed è purtroppo morto nella metà degli anni Cinquanta. Quello di Brugia non è un noir. Chiamatelo film drammatico, chiamatelo polpettone psicologico. Ma non chiamatelo noir. Se volete vedere un film tipo quello che voleva fare Brugia, ma fatto bene, consiglio "Nessuna qualità agli eroi" (2007) di Paolo Franchi, oppure, anche se è diverso, il godibilissimo "La doppia ora" (2009) di Giuseppe Capotondi. Chiudo dicendo che è assolutamente scandaloso che Rocco Siffredi sia stato inserito nel cast per attirare più gente al botteghino. Il povero Rocco è compresso in una comparsata umiliante, seminudo, sdraiato sul divano, che se la ronfa con una donna addormentata soavemente sopra il suo fulgido attrezzo. Il tutto dura una quindicina di secondi.
Ivan Brentari
Ivan Brentari
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