venerdì 4 maggio 2012

Gli Infedeli (voto 7)

Non c'è che dire che questo sia un momento storico particolarmente felice per il cinema francese, fresco della vittoria del campionato mondiale del cinema con l'Oscar di 'The Artist', oltretutto giocando da ospite una competizione che viene vinta praticamente sempre dai padroni di casa. Lo hanno confermato anche il carino 'Quasi amici' (ottenendo un riscontro al botteghino molto più che carino) e l'ottimo 'Piccole bugie tra amici', dimostrando che si può fare del cinema medio, popolare, eppure intelligente, arguto, stimolante (alla faccia di Brizzi e delle sue "sparate" contro il cinema d'autore). Lo conferma 'Gli infedeli', operazione interessantissima nella quale sette registi differenti girano altrettanti episodi (più un prologo) sul tema dell'infedeltà maschile. I protagonisti dei diversi episodi sono sempre i due fantastici mattatori Jean Dujardin e Gilles Lellouche, autori anche dell'episodio finale 'Las Vegas' (il meno riuscito). L'aspetto più interessante de 'Gli infedeli' è proprio il fatto che ogni episodio abbia una forma e una caratteristica diversa. Si passa da quello più demenziale a quello più drammatico, passando per il genere noir o per la commedia di costume, con grande facilità, grande abilità da parte di tutti coloro che hanno preso parte a questo progetto. Tutti gli episodi sono assolutamente godibili, ma in modo particolare non possiamo non citare quello del premio Oscar, appunto, Michel Hazanavicius 'La coscienza pulita'. Interpretato da un Dujardin irrefrenabile, a metà strada tra un Vittorio Gassman e uno Steve Carell, riflette la solitudine di un uomo patetico e mediocre, alternando in modo fantastico riso e amaro. Riso amaro, appunto. La commedia all'italiana di qualche decennio fa, infatti, è proprio il modello dichiarato di Hazanavicius. Un altro episodio riuscitissimo è quello di 'Lolita' di Eric Lartigau. In questo caso, il ruolo principale è del bravo Lellouche, dentista innamorato di una diciannovenne universitaria. Ed anche in questo caso, sorprende la profondità del racconto, la capacità di raccontare universalmente qualcosa di controverso, il lato aspro dell'amore e della vita. Eppure, non c'è traccia di autorialità o intellettualismo (capito, Brizzi?). Va dato atto, dunque, che oggi come oggi la Francia riesce a produrre quel cinema medio di intrattenimento che noi non siamo più in grado di fare, di girare. Avremo pure i nostri Giordana e Taviani ma, dopodichè, c'è un vuoto pneumatico proprio nel genere, quello della commedia, per il quale una volta eravamo conosciuti in tutto il mondo.

Emiliano Dal Toso


 

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