martedì 17 giugno 2014

Cannes e Dintorni 2014 - Prima Parte: Wild Tales, Queen And Country, Jimmy's Hall

E così anche quest'anno, grazie ad un anonimo benefattore, si è riusciti ad organizzare 'Cannes e Dintorni', questa rassegna di giugno amatissima dalla buona, sana e intellettuale cinefilia milanese. Cinefilia che non si fa certo intimorire dalla massiccia dose di calcio dovuta ai Mondiali, ma che invade le migliori sale cinematografiche della città per godere di visioni prima degli altri o, addirittura, di visioni che non potranno essere godute dagli altri, perchè spesso trattasi di piccole chicche che non saranno distribuite. Noi che amiamo il calcio e i Mondiali di calcio ma che amiamo anche il cinema d'autore, di nicchia e non, cerchiamo acrobaticamente di riuscire a vivere entrambi gli eventi in prima persona. Si è parlato tanto del Gran Premio della Giuria vinto da Alice Rohrwacher con 'Le Meraviglie', un po' meno della Palma D'Oro andata a Nuri Bilge Ceylan per 'Winter Sleep', film turco di tre ore e un quarto. Lo dico subito: ho deciso di evitarli accuratamente, dal momento che le precedenti opere della Rohrwacher e di Ceylan (ovverosia, 'Corpo Celeste' e 'C'era una volta in Anatolia') sono state le cose più insostenibili che abbia visto sul grande schermo negli ultimi anni. Cinema pesante, lentissimo, estetizzante, quasi inaccessibile. Un'idea di Cinema che evidentemente ha trovato l'approvazione del Presidente di Giuria Jane Campion (della quale abbiamo mal sopportato anche l'acclamato 'Lezioni Di Piano') ma esattamente agli antipodi da quella che, con il mio piccolo blog, cerco di sostenere. Se fossi stato io il Presidente di Giuria non avrei esitato, invece, a dare uno dei due premi principali al sorprendente, violento, anarchico 'Wild Tales' di Damiàn Szifròn (voto 9). Il regista argentino racconta sei storie accomunate dall'esasperazione dei sentimenti, dall'istinto distruttivo e autodistruttivo dell'Uomo, schiacciato dall'oppressione delle istituzioni e succube dell'ambizione e del benessere economico. Alcuni passaggi sono davvero indimenticabili, sorretti da un umorismo nero e da un gusto per il grottesco che raramente si sono visti di recente: forse, una versione sudamericana di Todd Solondz o di Ulrich Seidl; senza dubbio, un atto d'amore nei confronti di un Cinema anti-intellettualistico, feroce, sarcastico, ancora in grado di scuotere convenzioni borghesi e di non voler compiacere la platea snob del Festival più celebrato. Non sorprende, dunque, che sia rimasto a bocca asciutta. Sorprende di più che sia stato selezionato Fuori Concorso il nuovo eccellente lavoro del grande John Boorman, 'Queen And Country' (voto 8). Il Vecchio Maestro (ricordiamo, tra i tanti, titoli semplicemente strepitosi come 'Senza un attimo di tregua' e 'Un tranquillo weekend di paura') offre un grandioso coming of age anni 50: commovente, romantico. Al centro, temi semplici ma eterni, ultimi a morire: amicizia tra uomini, illusioni d'amore, tradimenti, cadute e rinascite. Non è un caso che nei dialoghi tra i protagonisti, scalfiti dapprima da ingenue speranze e tramortiti poi da "botte che solo la vita sa rimediare", si citino alcuni dei più grandi, come Kurosawa, Wilder, Hitchcock. Un lavoro d'altri tempi, assolutamente fuori moda, anch'esso disinteressato a conquistare le simpatie del lettore medio di 'Repubblica', che si potrà consolare certamente col deludente 'Jimmy's Hall' di Ken Loach (voto 5). Chi mi conosce, sa che amo Loach. Sa che amo il suo approccio pasionario, amo i suoi perdenti, i suoi racconti proletari e civili. Mi commuovo ancora oggi quando penso a quel capolavoro de 'Il vento che accarezza l'erba' e a quel finale terribile e immenso. Ma, in questo caso, siamo di fronte alla storiella del comunista che torna, dopo anni di esilio, nel suo villaggio natìo per combattere il conservatorismo e le ipocrisie dovute all'ingombrante presenza della Chiesa e alla morale cattolica. Siamo, purtroppo, di fronte a un'opera prevedibile, manichea, senza sussulti. Non verrà mai meno la nostra stima per il combattente Ken, ciononostante anche ai condottieri più valorosi capita di non essere in forma smagliante.



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