giovedì 25 ottobre 2012

Bidoni D'Autore: Amour (voto 5)

Nella recensione di 'Amour', il critico cinematografico di 'Repubblica' Paolo D'Agostini elogia l'austriaco Michael Haneke, perchè è uno dei pochissimi registi che continua a "fare un cinema pesante". Ecco perchè, secondo me, 'Repubblica' non andrebbe letta. In poche righe, D'Agostini inquadra perfettamente la stupidità intellettuale di chi pensa, a priori, che il cinema europeo sia per forza migliore di quello americano, che i film lenti abbiano per forza più significati di quelli d'azione, che gli sbadigli siano per forza sinonimo di qualità. Tutto quello contro cui cerco di "combattere", nel mio piccolissimo, col mio umile blog. Certo, i fratelli Dardenne sono degli autori, Ken Loach è un grande autore, Mike Leigh e Laurent Cantet sono degli autori, ma lo sono anche Michael Mann, Darren Aronofsky, Quentin Tarantino. No, "fare un cinema pesante" significa fare un cinema noioso e basta, non significa fare un buon cinema. E tutto ciò che annoia, che non emoziona, che non percuote, non è interessante. Haneke ha girato bei film, alcuni per nulla noiosi come 'Funny Games', altri più ostici ma affascinanti come 'Niente da nascondere'. Ha girato un grandissimo film, lento sì ma ipnotizzante, come 'Il nastro bianco', ed effettivamente intriso di significato. Nel nuovo 'Amour', il tocco di Michael Haneke è immediatamente percepibile: salotti borghesi, grande eleganza stilistica, un sottile senso di fastidio pronto ad esplodere in tragedia. Se nei precedenti lavori, però, il centro del discorso era smascherare le ipocrisie, provocare i suoi personaggi affinchè emergesse il loro lato peggiore, talvolta mostruoso, occultato dai formalismi derivanti dalla loro educazione e dal loro status sociale, con 'Amour' il dramma conturbante non è più la conseguenza degli eventi ma il presupposto dal quale, poi, tratteggiare i comportamenti dei protagonisti. I pur bravi Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva sono due ottantenni e potrebbero essere benissimo gli stessi personaggi, un po' cresciuti, di 'Funny Games' o di 'Niente da nascondere': rispetto ai film precedenti, Haneke ribalta la prospettiva, e offre una descrizione meravigliosamente umana del modo con cui il primo si prende cura della moglie malata. Il senso di pietas come unica possibile rappresentazione dell'amore, autentico, immacolato. Peccato che per giungere a questa conclusione, Haneke ci impieghi due ore e un quarto lunghissime, interminabili, nelle quali non succede praticamente niente. Noia totale, per una conclusione che non ha davvero niente di originale. Non ci sorprendiamo che un radical-chic come Nanni Moretti si sia entusiasmato di fronte ad 'Amour', attribuendogli la Palma D'Oro all'ultimo Festival di Cannes. I film di Nanni, però, sono indubbiamente più inventivi, più profondi, più vivi di questa versione intellettualoide di 'Autumn in New York', indigeribile anche per chi è abituato ai ritmi dell'ospizio.

Emiliano Dal Toso



2 commenti:

  1. Può anche darsi che sia un capolavoro, come in molti del resto l'hanno definito; eppure al di là della perfezione stilistica io ho rinvenuto una lentezza allarmante. Ma AMOUR si impadronisce dello spettatore per la bellezza delle immagini, della poesia che silenziosamente si insinua ovunque, a partire dal silenzio della casa fino al vuoto delle stanze. Ma a visione ultimata è lecito chiedersi se sia valsa davvero la pena girare un film di due lunghissime ore, con pochi stacchi e un ritmo che purtroppo qualche sbadiglio può suscitare, per via dell'incompiutezza dei dialoghi, di dettagli che non occorrevano della freddezza narrativa in generale. E' un film eccessivamente perfetto per i miei gusti.

    VOTO 6

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  2. Davvero ottima analisi, è proprio l'impressione che ho avuto anche io. Emiliano

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