lunedì 10 dicembre 2012

Film del cuore: Into The Wild

Sono passati quasi cinque anni dalla sua uscita nelle sale e, per chi scrive, si è trattata dell'opera cinematografica più importante del decennio appena passato. Il viaggio per le terre selvagge di Christopher McCandless (interpretato dall'impressionante Emile Hirsch), ribattezzatosi Alexander Supertramp, si costituisce di tutte le tappe più importanti che vengono affrontate durante la vita di un uomo. Durante il viaggio, Alex incontra personaggi indimenticabili come quelli interpretati da Vince Vaughn, Kristen Stewart e Hal Holbrook. Il primo si spoglia dei ruoli comici a cui è abituato per interpretare il trebbiatore Wayne Westerberg, che assumerà un ruolo fondamentale nella convinzione psicologica di Alex per arrivare fino in fondo, fino alle terre selvagge tanto desiderate, vero e proprio luogo di redenzione opposto a quella società impazzita e piena di schegge nella quale sia Alex che Wayne hanno vissuto con insofferente anticonformismo, dando vita a uno dei dialoghi più belli del film. La seconda, invece, racchiude in sé tutta l'estasi e il tormento delle illusioni adolescenziali nella parte della giovane cantante country Tracy, la quale velocemente si innamorerà di Alex e immediatamente dopo soffrirà per la sua partenza, con la non-consapevolezza che quell'incontro è solo il preludio di passioni sfuggenti e mortali. Infine, il terzo interpreta Ron Franz, solitario veterano vedovo di moglie e figli, che troverà in Alex quella figura di confronto umano e di insegnamento reciproco che gli è mancata. La partenza di Alex viene vissuta con fatica anche da lui, non prima di aver donato al cinema una delle più belle riflessioni di sempre sul ruolo della fede. Ma chi è Alexander Supertramp? Un eroe? Un disilluso? Sicuramente un anticonformista. Sean Penn è attento a evitare qualsiasi possibile celebrazione retorica del personaggio, riconoscendogli coraggio e frenesia, passione e incoscienza. La sua non è una banale fuga ma è un vero e proprio rifiuto della materialità concepita come base portante della società moderna. Il pessimismo del regista diventa cristallino nel duro finale, che omaggia e rimprovera le scelte del giovane protagonista in un'amara ammissione dell'impossibilità di realizzare la propria natura. C'è qualcos'altro, però, che innalza l'opera 'Into The Wild' a status di capolavoro assoluto. Non parliamo di sceneggiatura, né di interpreti, né di fotografia. Parliamo di canzoni. Quelle canzoni che non si limitano a fare da sfondo o a raccontare il film ma che assumono un ruolo da co-protagonista. Quella voce, quelle canzoni di Eddie Vedder che raccontano della vita, della nostra vita. Da una parte, raramente si è assistito a una fusione talmente densa e inseparabile tra suoni e visioni. Queste canzoni non sarebbero potute esistere senza le immagini di 'Into The Wild' e 'Into The Wild' non sarebbe potuto esistere senza le canzoni di Vedder. Dall'altra, quando riascoltiamo qualcosa che abbiamo amato e interiorizzato, tornano in mente ricordi e si rivivono determinate sensazioni. Con le canzoni di 'Into The Wild' accade proprio questo. Quando riascoltiamo quest'album, nella nostra mente non riemergono soltanto le immagini del film ma, soprattutto, alcuni degli eventi che hanno caratterizzato la nostra piccola esistenza. Esistenza che forse non sarà molto simile a quella di Alexander Supertramp ma che è anch'essa accompagnata dalla medesima struggente colonna sonora. I primi tre brani introducono l'ascolto di un album semplice ed emozionante. 'Far Behind' si distingue per la sua costruzione più complessa, un brano che avrebbe potuto far parte dell'episodio più sperimentale dei Pearl Jam, 'No Code'. 'Rise' è il primo grande colpo al cuore. Un pezzo che si regge su un semplicissimo giro di accordi, con la voce di Eddie che accarezza e commuove ("Gonna rise up burning black holes in dark memories / Gonna rise up turning mistakes into gold"). 'Long Nights', cupa e drammatica, trasmette il gelo e la solitudine dell'Alaska, mentre lo stupendo strumentale 'Tuolumne', cinquantanove secondi, è gioia e incoscienza, innocenza e malinconia. 'Hard Sun' è una cover di una misconosciuta meteora degli anni '80, tale Indio. Si tratta del momento più definito e completo di tutti ma è anche il meno suggestivo. 'Society', invece, è l'emblema di 'Into The Wild'. Un manifesto. L'assolo centrale è una benedizione proveniente dal cielo, che deriva direttamente dalla grande tradizione country, quella di Nick Drake e Bob Dylan. C'è ancora tempo per un'altra bella canzone come 'Guaranteed', che viene proposta anche in versione strumentale come traccia nascosta. Le canzoni di 'Into The Wild' sono frammenti di vita. Non nascono per essere cantate nelle arene e nemmeno per essere passate in radio. Nascono per essere la colonna sonora di un viaggio, di un'avventura, di una riflessione. Sono piccole schegge che non hanno bisogno d'altro che di essere inserite nello stereo della nostra stanza ed essere amate. Le canzoni di 'Into The Wild' raccontano di terre selvagge, di quelle terre selvagge che affrontiamo tutti i giorni e di quelle che, per quanto desiderate, non riusciremo a raggiungere mai.
Emiliano Dal Toso






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