venerdì 16 dicembre 2011

Midnight in Paris (voto 7)

Con questa recensione iniziano una serie di collaborazioni da parte di alcune delle più grandi menti della mia generazione.

Alcuni studiosi di filosofia sostengono che, effettuate le dovute riduzioni, la storia del pensiero si potrebbe sostanzialmente ridurre alla contrapposizione tra chi è platonico e chi è aristotelico; questi sarebbero due modi fondamentali di concepire il mondo a cui nessuno può sottrarsi. Allo stesso modo, io (più modestamente) credo che il mondo del cinema si divida tra le persone a cui piace Woody Allen e quelli a cui non fa alcun effetto. Per quanto mi riguarda, appartengo sicuramente al primo gruppo, ma con moderazione: non ho mai trovato spiacevole un film di Allen, ma non ho mai gridato al capolavoro (anche se con Match Point ci sono andato vicino); diciamo che la scala all'interno del quale lo colloco è tra il carino e il molto carino, con tutte le sfumature intermedie. In quest'ottica, Midnight in Paris è piuttosto carino. Parlando degli utimi suoi lavori, meglio di Scoop e Vicky Cristina Barcelona, ma meno bello di Sogni e delitti. Il film contiene un solo vero grande concetto (e del resto quando si ha una media di 1,17 film all'anno negli ultimi ventinove anni, non è che se ne possano mettere molti di più), che è la seguente domanda: quando crediamo che potremmo vivere un'esistenza migliore se vivessimo in un altro luogo, o in un altro tempo, ci illudiamo? La risposta del cineasta è incerta, perché incerto è il vagare dell'uomo in questo mondo. Se Adriana (Marion Cotillard) sceglie di inseguire l'illusione, l'uomo contemporaneo sa che non cambierà nulla e deve rinunciare al cambiamento radicale. Tuttavia egli, Gil (Owen Wilson), non può accettare di rinunciare completamente al tentativo e finisce, pur restando nel suo tempo, col rimanere a Parigi. In Gil convivono il pessimismo più radicale della teoria razionale (che emerge nella sua reazione alla decisione di Adriana) e il sottile ottimismo latente dell'agire umano, che in fondo non è in grado di rinunciare del tutto alla speranza. Il finale, apparentemente lieto, si rivela a mio avviso come il segnale di un circolo vizioso al quale siamo condannati: speranza nell'amore, delusione nella vita, diperazione, di nuovo speranza e così' via. Bravo Wilson, bella Marion Cotillard. Bruttissima Carla Bruni.

Giancarlo Mazzetti



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