lunedì 1 ottobre 2012

Retrospective: A qualcuno piace Billy

Questo mese parleremo di Billy Wilder.
Ci siamo presi il permesso di chiedere a un wilderiano doc come Massimiliano Gavinelli (filmmaker, appassionato esperto ed esperto appassionato della Settima Arte) di scrivere per noi. Affetto, cuore, competenza, passione. Grazie Ga'.



Approfitto di questo spazio concessomi dal mio amico Emiliano per elogiare un regista a me molto caro; e voglio partire in modo ardito, senza ulteriori esitazioni: l’influenza di Billy Wilder non si limita al suo mestiere di regista, e nemmeno a quello di scrittore di grandi sceneggiature. Prima di tutto ciò, o meglio insieme a tutto ciò, Billy Wilder ha creato una cultura condivisa, contaminando non solo tutto il Cinema di lì a venire, ma anche quella che oggi è universalmente definita “cultura occidentale”. Esagero? Secondo me, no. Dopo le riforme del New Deal, destinate a risollevare l’economia degli Stati Uniti in seguito alla grande crisi del ’29, si sentiva il bisogno di risollevare l’umore dell’America e forgiare, inculcare nella mente delle persone lo spirito del sogno americano che ha reso possibile l’esplosione degli Usa. In questo processo di aspirazione alla grandezza, Hollywood è stata non solo fondamentale, ma necessaria. Il cinema americano è considerato il “più bello del mondo” da allora, da quando questo connubio tra stile ed ottimismo è stato, non a caso, esportato anche fuori dagli Usa, dove l’umore sociale non era certo elevatissimo, dando vita ad una cultura transatlantica condivisa che sopravvive tutt’oggi. I più importanti esponenti di questa esplosione di ottimismo sociale sono stati gli americanissimi John Ford e Howard Hawks, ma forse più di loro è stato un austriaco a “far sognare” gli americani, e il suo nome è appunto Samuel Wilder, passato alla storia come Billy Wilder: questi ha saputo calarsi nella cultura della rinascita americana inizialmente in punta di piedi, da sceneggiatore di commedie (anche se è già del 1939 la sua prima candidatura all’Oscar per lo script di 'Ninotchka', diretto dal suo maestro Ernst Lubitsch) ed in seguito come motore principale di questa stessa rinascita culturale. Il resto è storia: 29 lungometraggi, decine di sceneggiature (spesso scritte a più mani con alcuni tra i più grandi autori di sceneggiature di sempre come “Izzy” Diamond e Charles Brackett), 21 nominations agli Oscar (con 6 statuette vinte), per non parlare dei numerosi premi e riconoscimenti assegnatigli nelle più grandi manifestazioni cinematografiche del mondo (Bafta, Cannes, Venezia, David di Donatello, Golden Globe). Questi però sono soltanto numeri; ciò che ci fa amare Wilder e che lo terrà sempre nel cuore di tutti gli appassionati di Cinema sono le sue facce, i suoi lati. Billy ha due facce: una è la faccia delle sue commedie, l’altra è quella più oscura, imprescindibilmente tinta di noir. Spesso però questa faccia è una sola, formata da questi due profili differenti e distanti che molto spesso Billy ha saputo condensare in una sola, splendida espressione cinica. Per essere più specifici, Billy ha un lato brillante che tanto bene ha rinfrescato gli animi del pubblico e dei produttori: pellicole rassicuranti, maliziose ma educative, in cui il male serve solo a godere meglio del bene, i personaggi indossano una “maschera” (in senso lato) a fin di bene, ma soprattutto ci fanno ridere, e ridere tanto. Alcuni titoli indicativi sono 'A qualcuno piace caldo', 'Baciami stupido', 'Uno, Due, Tre', 'Non per soldi..ma per denaro'. Un altro lato è quello delle pellicole ciniche, in bilico tra malignità e farsa, nelle quali Billy si diverte come un bambino a giocare con l’ago della bilancia che pesa il sorriso e la smorfia maligna, il sollievo e l’ambiguità. Eccoci quindi a 'Testimone d’accusa', 'Stalag 17' e 'L’asso nella manica', per fare qualche esempio. Infine, pellicole di maggior spessore emozionale, siano esse noir “tradizionali” (Billy non le avrebbe chiamate certamente così, perché la tradizione del noir è proprio quella che lui stesso stava costruendo, parallelamente ad altri registi come Hawks, Lang e scrittori come Chandler), commedie sentimentali tinte di dolente romanticismo, o mélo-noir: rispettivamente 'La fiamma del peccato', 'L’appartamento' e 'Viale del Tramonto'. E’ sufficiente scegliere tra queste facce, tra questi lati ammalianti. E non si rimarrà certamente delusi. E’ estremamente difficile trovare la stessa brillantezza, varietà, qualità nel cinema odierno, spesso troppo convulso e tristemente impersonale.
Sarà l’autore di questo blog a farvi respirare nello specifico la magia di alcuni dei capolavori di Wilder. Personalmente voglio concludere questo piccolo ed incompleto ritratto citando un breve passo di un libro che mi sento di consigliare a tutti coloro che sentono la voglia e la curiosità di entrare nell’universo di questo straordinario artista, scritto da un suo grande fan, il regista Cameron Crowe (non per caso uno dei pochi registi che siano riusciti a mantenere un equilibrio comico-intellettuale di indubbia brillantezza), dal titolo 'Conversazioni con Billy Wilder', una lunga intervista mai noiosa e piena di spunti interessanti sulla vita e le opere di Wilder.
L’opera di Billy Wilder è un prezioso scrigno di creature straordinariamente vive create da un mago che possedeva il mestiere del comico e l’occhio infallibile del grande ritrattista; gli aspetti migliori della vita, le cose tristi e quelle frivole, l’ironia e lo strazio hanno uguale peso nella sua opera. Così, anche a distanza di anni, le opere di Billy Wilder, meglio di quelle degli altri registi suoi contemporanei, continuano a rappresentare gli esseri umani per quello che veramente sono.
Grazie di cuore, grande Billy.

Massimiliano Marco Gavinelli

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