sabato 29 settembre 2012

Reality (voto 8) IL FILM DEL MESE

Per molti, Matteo Garrone è il Numero Uno, per altri il Numero Due, per altri ancora non è nemmeno da Top Ten. Io lo trovo un bravo regista, un possibile grande regista, che ha girato almeno due buoni film ('L'imbalsamatore' e 'Gomorra') e uno molto brutto ('Primo Amore'). 'Reality' è il suo migliore. L'autore romano non mette al centro del suo discorso l'imbarbarimento dei tempi, evita qualsiasi discorso retorico sull'influenza della televisione come concausa del decadimento culturale. Pone, piuttosto, delle domande più interessanti e stimolanti: perchè ammiriamo quel mondo? Perchè ne siamo affascinati e perchè lo viviamo come un riconoscimento, come un punto d'arrivo? Per farlo, prende le parti di Luciano Ciotola, un simpaticissimo pescivendolo napoletano, con moglie e tre figli a carico. Luciano è uno scugnizzo, un bravo ragazzo, che ama la sua famiglia, attaccato alla sua gente. Accetta di fare un provino per partecipare al Grande Fratello perchè lo vogliono le sue bambine, perchè è una semplice opportunità, perchè non gli importa più di tanto ma se arriva la chiamata tanto meglio. Come un germe, però, la pazza idea di far parte della Casa, di quel mondo, lo invade fino al punto da non fargli più riconoscere realtà e finzione. I mendicanti diventano delle spie mandate dalla televisione per testare il suo grado di "personaggio", di commerciabilità; le clienti al banco del pesce potrebbero essere anche loro delle selezionatrici; addirittura un grillo in casa potrebbe essere lì apposta per osservarlo. Il comportamento del protagonista non è, però, il risultato degenerativo della società dell'apparire. Si tratta, invece, del desiderio umano di essere catapultati al centro del mondo, di venire finalmente riconosciuti dagli altri, dalle persone che vivono intorno a te. Un desiderio di dare importanza a se stessi, perchè c'è qualcun altro che ti riconosce. Da questo punto di vista, 'Reality' non è come potrebbe erroneamente sembrare un film che fotografa l'attualità (e se lo fosse, sarebbe fuori tempo massimo), bensì una riflessione antropologica sulla fama come possibile svolta, come certificazione del proprio valore di essere umano. Una riflessione amara, certamente, ma che non ha a che fare con la plastificazione dei tempi. A differenza dei protagonisti precedenti di Garrone, Ciotola è un buono. Lo spettatore tifa per lui, perchè arrivi la chiamata tanto attesa da "quelli del GF" (drammatica, ad esempio, la scena dello scherzo telefonico dell'amico). Garrone non denuncia, ma constata, prende atto del fatto che il mondo della televisione possa rappresentare un mondo magico, fatato, per tutti coloro che non possiedono gli strumenti necessari per rifiutarlo. A tal proposito, 'Reality' è geniale e straordinario per l'utilizzo delle musiche e della fotografia. Le prime sembrano rubate da un film di Tim Burton; la seconda regala un immaginario da cartone animato della Pixar. Tutto questo malgrado Garrone sia un regista essenziale, certamente non un virtuoso (a differenza di Sorrentino). Non esistono scene madri, soltanto tanti segmenti di vita quotidiana. Due sequenze, però, sono di grandissimo cinema: l'introduzione bollywoodiana del matrimonio; il finale "spettrale" all'interno della Casa. Non ci meraviglieremmo se 'Reality' venisse frainteso come un film non abbastanza graffiante; non vuole graffiare, ma ricercare. Bello e, a suo modo, Cattivo.

Emiliano Dal Toso




Nessun commento:

Posta un commento