lunedì 10 settembre 2012

Opinions: Marco Bellocchio VS. Michael Mann

Sono rimasto abbastanza stupito della reazione di Marco Bellocchio in seguito alle motivazioni che ha dato il presidente della giuria dell'ultimo Festival di Venezia, Michael Mann, per il fatto che 'Bella addormentata' non ha ricevuto nessun premio importante, preferendo i lavori di Kim-Ki Duk, Paul Thomas Anderson e Ulrich Seidl. Evidentemente imbarazzato già soltanto per il fatto di dover dare delle giustificazioni, Mann ha parlato di un cinema italiano "un po' provinciale e autoreferenziale". Opinione discutibile, certamente. E' anche vero che se Mann è stato piuttosto ingenuo a pronunciare una frase che può apparire come una generalizzazione di un intero movimento cinematografico, va pur detto che il regista americano ha individuato immediatamente quale sia il reale problema di alcune pellicole nostrane, che vengono osannate in patria ma che non ricevono altrettanto entusiasmo all'estero. La risposta di Bellocchio non è tardata ad arrivare: "Mi sembra un giudizio idiota. Di queste imbecillità ne ho piene le scatole. Chi dice queste cose viene da una cultura che parla inglese, poco sensibile alle sfumature di altri linguaggi...Chi viene da Oltreoceano ha difficoltà a capire cosa succede davvero in Italia, quale siano le forze politiche in gioco, la nostra tradizione cattolica, il peso del Vaticano. O forse non gli interessa neanche. Per questo spara obiezioni superficiali con la supponenza di chi si considera padrone del mondo...Il cinema di Mann non mi interessa, ha un'idea di cinema totalmente diversa dalla mia". Wow. Parole pronunciate da chi viene considerato uno dei più grandi registi italiani di oggi, per razionalità ed equilibrio. E' evidente che il regista bobbiese sia rimasto piuttosto "scottato" dalla sconfitta veneziana. D'altronde, anche nove anni fa il suo 'Buongiorno, notte' era favoritissimo ma la giuria di Mario Monicelli gli preferì 'Il ritorno' di Zyagintsev. Malgrado si dica spesso che nei Festival ci siano solo vincitori e non sconfitti, in molti vivono la rassegna come una competizione sportiva. Ad avermi ancor più meravigliato è stato, però, l'articolo di Paolo Mereghetti che spalleggia le idee di Bellocchio e si scaglia contro Michael Mann e contro l'unico metro di giudizio che pare quest'ultimo abbia utilizzato nelle sue scelte, quello della "popolarità." Il Merego chiude questo delirio sostenendo che senza Bellocchio, senza Vigo e Godard, senza Herzog e Kluge, senza Kramer e Cassavetes, senza Ozu e Naruse (tutti registi poco o niente popolari), Mann non avrebbe mai fatto i film che l'hanno reso celebre. Allucinante. E' evidente che il grado di "popolarità" non possa essere un metro di giudizio per giudicare il valore di un film. Credo che però Mann abbia considerato più la capacità di un'opera cinematografica di avere una comprensione universale, di poter essere appresa completamente e ammirata da tutti. Non a caso, ha premiato Kim Ki-Duk, regista lontanissimo dagli stilemi hollywoodiani, eppure capace di arrivare al cuore degli spettatori di tutto il mondo. Criterio, direi, più che legittimo, se non sacrosanto, in un Festival di caratura internazionale. Michael Mann è il regista di film come 'Heat - La sfida', 'Insider', 'Alì', 'Collateral', 'Public Enemies'. Lavori se non capolavori che oltrepassano ogni confine di genere, ogni barriera culturale. Come direbbe il mio amico Ivan Brentari, "film popolari, non popolareschi". A differenza di questa spiacevole, idiota, provinciale diatriba che ha visto protagonisti uno dei registi più importanti e il critico cinematografico più famoso d'Italia.

Emiliano Dal Toso
 



Nella foto il regista Kim Ki-Duk, vincitore del Leone d'Oro, pare non importarsene di provincialismo e grado di popolarità

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