lunedì 17 settembre 2012

Venezia 2012 - Prima Parte: Pietà, Apres Mai, Outrage Beyond

E' ripartita anche quest'anno la classica rassegna milanese che propone alcuni dei film presentati all'ultima Mostra del Cinema di Venezia. Malgrado la crisi e la depressione post-estiva, ci siamo fatti trovare anche questa volta nelle sale cinematografiche per vedere, ammirare e giudicare. Partiamo immediatamente con il film che ha vinto il Leone D'Oro. Bene, non sono certamente mai stato un amante del cinema di Kim-Ki Duk. L'ho sempre trovato un regista poetizzante, estetizzante, eccessivamente simbolico e un po' programmatico. Ammetto, però, di non conoscere la prima parte della sua carriera, quella più cruda e furiosa. Per quanto riguarda 'Pietà' (voto 8), sono rimasto davvero sorpreso. Kim mette da parte allegorie e silenzi (in)significanti e tira fuori dal cilindro un melodramma sociale spietato e lancinante. Potrebbe non piacere a chi è abituato al Ki-Duk più etereo e mentale: 'Pietà' è un pugno nello stomaco terribilmente concreto, attuale, contemporaneo. Evidentemente, la crisi creativa del regista sudcoreano (documentata nel noiosissimo 'Arirang') è servita per fargli recuperare la vena più verace e feroce. Non abbiamo ancora visto i lavori di Malick, Paul Thomas Anderson e De Palma ma non possiamo non riconoscere al presidente di giuria Michael Mann di aver premiato uno dei migliori "Leoni" degli ultimi anni (certamente meglio di 'Somewhere' e di 'Faust'). Pensavamo, invece, di entusiasmarci di fronte all'acclamato 'Apres Mai' (voto 4) di Olivier Assayas. Pensavamo male. Il regista francese racconta la storia di alcuni ragazzi parigini durante i primi anni Settanta, probabilmente in veste autobiografica. Utilizza tutti i luoghi comuni possibili riguardo a quell'epoca: l'impegno politico, gli amori, le rivelazioni artistiche, gli amori, il rifiuto della borghesia, gli amori. Il film non è girato male ma sinceramente siamo davvero stufi dell'apologia dei liceali fighetti che giocano a fare la Rivoluzione. Assayas non aggiunge e non toglie niente a tutto quello che sapevamo già sul Sessantotto e sul post-Sessantotto. E' lontano anni luci dalla de-mitizzazione di 'The Dreamers' ma anche dalla complessa profondità di 'Les Amants Reguliers'. Non ha un guizzo narrativo originale, non prevedibile. Forse, potrebbe piacere all'attempato lettore di 'Repubblica' che ha tanta nostalgia dei bei tempi che furono. Ai ventenni di oggi, ha ragione Bertolucci, conviene rimanere chiusi in casa a trombare. Infine, mi duole ammetterlo, ma anche il gigantesco Takeshi Kitano ha fallito con il suo 'Outrage Beyond' (voto 5). Il Maestro giapponese si limita a un anonimo poliziesco che potrebbe trovare spazio nel sabato sera di Raidue. Dove è finita la poesia che ha caratterizzato tutta la sua filmografia, da 'Violent Cop' fino alla geniale trilogia sulla decadenza dell'Artista? Stiamo pur sempre parlando di un genio, che negli anni Novanta non è stato in grado di non girare soltanto capolavori. Uno degli autori più influenti e rivoluzionari degli ultimi vent'anni. E' plausibile che sia arrivato anche per lui il momento di girare per portare a casa la pagnotta, e nulla più. A tal proposito, mi va di citare alcuni dei suoi titoli meno celebri ma assolutamente da recuperare: 'Boiling Point', 'Il silenzio sul mare', 'Kids Return'. Vedeteli, e poi torniamo a parlare di cosa significhi fare un cinema allo stesso tempo popolare, autoriale, universale.

Emiliano Dal Toso


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