lunedì 24 settembre 2012

Tony Scott Gallery: Spy Game

In questa pellicola, Tony Scott ci consegna una perla rara del cinema d'azione, sicuramente uno dei suoi migliori lavori. La narrazione ha inizio nel 1991, e la scena iniziale ci mostra l'arresto Tom Bishop (un buon Brad Pitt) in Cina. Già agente della CIA, Bishop ha un collega che gli è molto affezionato nell'headquarter statunitense che, ovviamente, cercherà di trarlo in salvo a distanza dai pericolosissimi cinesi. Si tratta di un certo Natan Muir: un vecchio saggio dell'Intelligence al suo ultimo giorno di lavoro interpretato da un rugosissimo (ma sempre più bello) Robert Redford. A parte la prima scena, che funge da prologo e dà inizio alla giornata in cui è ambientato il film, la scansione temporale si articola nell'armoniosa alternanza tra il presente in cui si muove Muir -praticamente tutto girato in interno- e il passato che si costruisce gradualmente tramite flashback (con voce fuori campo). Ciò che più colpisce è la varietà dei modi in cui Tony Scott riesce a coniugare il concetto di “azione” in uno stesso film. A parte per la questione della dimensione temporale, che rimane comunque il principale elemento di dinamismo, è il modo stesso in cui il film è girato a guidarci nelle diverse dimensioni. Le scene del passato, in cui il giovane Brad Pitt conosce e lavora sul campo insieme a Muir, il ritmo serrato; ogni spostamento in auto è motivo di pericolo, tutto è appeso ad un filo, il caos la fa da padrone, ed è in questo caos che Bishop agisce. Talvolta l'azione assume sfumature molto “tamarre”, ma non danno mai fastidio (siamo già nel 2001, quindi i vari eccessi della seconda metà dagli anni '90 sono già superati). Più pacata la figura di Muir, sempre molto ragionevole, a volte spietato nella sua razionalità, ma sempre perfettamente sotto controllo. Anche quando vediamo Redford seduto ad una scrivania che parla (o che ascolta), la bravura del regista è nel farci comprendere che la scena è solo apparentemente statica, mentre l'azione si sta svolgendo all'interno del cervello di Muir; noi siamo dentro di lui, capiamo che sta architettando qualcosa, ma non abbiamo elementi sufficienti per comprende pienamente cosa (e non aspettiamo altro che vedere che succederà). Sebbene, per certi versi, la pellicola sia un po' banalmente storicizzata e palesemente ideata da una troupe californiana (gli spietati cinesi, gli inaffidabili libanesi e i cattivoni russi sono un po' stereotipati) la critica al sistema-CIA e, soprattutto, ai princìpi che ne regolano l'azione sembra abbastanza evidente. In particolare, Scott sembra denunciare la mancanza di rispetto per l'individuo in sé e il freddo delle stanza dei calcoli e dei bottoni che regolano i rapporti internazionali. Dalla parte di Bishop, invece, ci sono la passione umana e il sentimento: Scott concede ed ammette che questi siano spesso causa di complicazioni e di problemi, ma conclude anche sottolineando che sono poi esse stesse che ci salvano dal nulla. Anche Muir, infine, cede al sentimento che gli permette di espiare le colpe di una lunga carriera. La profondità dei temi non è certo da filosofo esistenzialista navigato, ma il film è assolutamente da vedere.

Giancarlo Mazzetti





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