Ecco la seconda puntata dei nostri piaceri d'amore preferiti. Tocca a Giancarlo Mazzetti parlare di 'Qualcosa è cambiato' , commedia capolavoro di James L. Brooks, uno che fa pochi film (Voglia di tenerezza, Dentro la notizia, Come lo sai) ma che li fa sempre bene.
Misantropo, misogino, omofobo, maniaco dell'ordine e della pulizia, razzista. Queste sono le peculiarità di Melvin, il personaggio interpretato magistralmente da Jack Nicholson (che vinse, per questo, un meritatissimo Oscar come miglior attore). Lo scorbutico scrittore vive un paradosso esistenziale per cui egli, bravissimo a scrivere d'amore e amatissimo dalle donne sue lettrici, nella vita rifugge qualsiasi sentimento umano, a meno che il cinismo non sia considerato uno di questi. Odia il cane del suo vicino - del quale cerca di sbarazzarsi già nella prima scena -, odia il suo dirimpettaio omosessuale (il buon Greg Kinnear), il quale, oltretutto, è fidanzato con una ragazzo di colore (l'eccezionale Cuba Gooding Jr, fresco dell'Oscar per Jerry Maguire). L'unica persona che tollera è Carol, la cameriera del locale in cui Melvin mangia tutti i giorni a pranzo: sempre alla stessa ora, sempre allo stesso tavolo, portandosi immancabilmente le posate da casa e servito sempre dalla stessa persona, per l'appunto Carol (Helen Hunt, anch'essa vincitrice della statuetta come miglior attrice per l'occasione). Il cast, come avrete notato dall'introduzione, è il fulcro della pellicola. I dettagli forniti dall'espressività dei personaggi sono gli indizi attraverso i quali si muove la trama; pochissimi primi piani fanno sì che Qualcosa è cambiato sia vicinissimo ad un'opera teatrale, anche per la scelta dei luoghi. Tutta la narrazione è costituita dal passaggio, molto graduale, di Melvin dalla misantropia più radicale al finale, decisivo e liberatorio amore per Carol (e questo è il motivo per cui è inserito in questa particolare rubrica). L'amore è la medicina, l'assenza di amore è la malattia stessa. Il fitto schema di rigida ripetizione rituale e maniacale, in cui Melvin ha incanalato la sua vita per sopravvivere al vuoto della solitudine, perde sempre più di importanza in contemporanea con lo sgretolarsi del muro che lo scrittore ha eretto tra sé e il mondo. La scala amoris che il protagonista percorre è di matrice quasi platonico-proustiana: dapprima arriva la contingenza a portare l'elemento di scardinamento – nella scena in cui Cuba Gooding Jr lo obbliga a prendersi cura del piccolo cane del vicino, emerge tutta la sua debolezza -, successivamente, sempre con maggior consapevolezza, è Melvin stesso a coltivare i rapporti umani che costituiscono la sua cura; si affeziona all'odiato cane, prova compassione per il vicino, coltiva l'amicizia e, infine, giunge a conoscere l'amore. La carte vincente del film (oltre al già menzionato cast) è la delicatezza. La commedia rosa che si conclude con il superamento della linea della nuova vita di Melvin ha poco a che vedere con la commedia che si apre all'inizio del film, ma il passaggio è sempre impercettibile (per questo sono necessari tutti i suoi 139 minuti) e, a ben vedere, anche i sentimenti e gli stati psicologici trattati sono sempre sfumati: un dolce amaro senza estremizzazioni.
Giancarlo Mazzetti
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