Dopo tredici anni il bellissimo ‘American History X’, vero e proprio cult movie, torna Tony Kaye, regista che dimostra di avere una capacità particolare nel saper descrivere una America piuttosto degradata, periferica, abbandonata a se stessa. Questo ‘Detachment’ punta il dito contro il sistema pubblico scolastico americano, incapace di instaurare un qualsivoglia stimolo nei propri studenti, solitamente provenienti da una modesta condizione socio-economica. Ricordo un film di una quindicina di anni fa con una bella Michelle Pfeiffer nel ruolo che ora è di Adrien Brody, sempre sullo stesso tema, forse in salsa un po’ più populista e meno accattivante. Kaye, infatti, si serve di uno stile molto originale, utilizzando un montaggio molto frammentario, sincopato, che alterna il susseguirsi degli eventi con dichiarazioni degli stessi protagonisti davanti alla macchina da presa, quasi da commento a quello che sta accadendo. Inoltre, colpiscono anche i numerosi disegni, che fanno da sfondo a questo difficile percorso di crescita, di vita. ‘Detachment’ è un bel film, coraggioso, che mostra quella faccia di Stati Uniti D’America che Obama non è riuscito a cambiare. Non tutto è messo a fuoco, alcuni spunti non sono approfonditi, ma prevale il valore etico e coinvolgente di un lavoro che parla di distacco, intendendolo in vari modi: innanzitutto, quello tra figli e genitori, completamente inadeguati, assenti, incapaci di contribuire alla formazione di una persona; ma soprattutto, quello tra Stato e individuo, tra istituzione e cittadino, più vicino all’essere un numero, un fantasma che un motore portante della società. Il regista approfondisce aspetti piuttosto desolanti, descrivendo una fetta di americani completamente priva di stimoli: nè gli insegnanti, frustrati e insoddisfatti delle loro vite, nè gli studenti, passivi e catatonici, paiono essere in grado di restituire una quotidianità dignitosa a una provincia americana impressionante, per la quale i Sogni non sono passati neanche di striscio. Disillusi, depressi, rassegnati, i personaggi di ‘Detachment’ ritrovano una umanità soltanto nel momento in cui piomba la tragedia, e riaffiora il senso di colpa. Non tutto è nero, però: nel rapporto tra il supplente Brody (una delle sue migliori interpretazioni degli ultimi anni) e la giovane prostituta Sami Gayle si intravede uno spicchio consistente di umanità, solidarietà, amore. In breve, ‘Detachment’ è un discreto pugno nello stomaco, salutare, necessario: il lato più incazzato e barricadero del cinema americano.
Emiliano Dal Toso
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