venerdì 1 febbraio 2013

Retrospective: Judd Apatow

L’universo di Judd Apatow ha un grande filo conduttore: l’amicizia. Sebbene a far parte di questo mondo siano diversi registi e diversi sceneggiatori, tutti sono interessati alla descrizione dei numerosi aspetti che essa rivela. L’analisi di questo tipo di rapporti interpersonali riguarda, però, sempre persone dello stesso sesso. Infatti, se diamo una prima occhiata alla produzione targata Apatow, notiamo che uomini e donne (o, più giovanilisticamente, maschi e femmine) si pongono su due piani distanti, che esprimono una comprensione della realtà, della quotidianità in maniera completamente diversa. L’amicizia è quasi sempre un rifugio, una coperta per ripararsi dal terrore di affrontare le incomprensioni, le conflittualità che possono scaturire da una relazione sentimentale. Un’oasi nella quale poter essere completamente se stessi, senza aver timore di abbandonarsi a regressioni infantili. Un’àncora di salvataggio, che talvolta può dover affrontare mareggiate in grado di mettere a repentaglio la sua stabilità. Perchè anche nell’amicizia, come nell’amore, non mancano quegli aspetti romantici che rendono unico o irripetibile un rapporto ma che possono pregiudicarne la sua consistenza.
40 anni vergine e Molto Incinta (entrambi scritti e diretti dallo stesso Apatow) sono gli esempi dell’approccio più cameratesco e “bamboccione”. Nel primo esilarante film, Steve Carell interpreta il ruolo del commesso di un negozio di elettronica, che arriva alla bellezza di 40 anni senza aver mai avuto un rapporto sessuale. D’altronde, è sempre stato troppo interessato a dipingere soldatini o a giocare ai videogame. Dopo aver involontariamente confessato la sua verginità, i suoi colleghi si adoperano in tutti i modi possibili per procurargli una donna. Ed è soltanto nel momento degli insegnamenti e dei consigli finalizzati al “rimorchio” che tra il protagonista Andy e i suoi colleghi si instaura una relazione umana, e non più soltanto professionale. Per Andy i suoi colleghi diventano una bussola, un punto di riferimento e, a sua volta, egli diventa uno di loro, un amico su cui poter contare. Nel secondo, invece, la lente di ingrandimento è immediatamente posta su un gruppo di coinquilini nullafacenti, cannaioli e perdigiorno, che hanno come unica attività lavorativa la gestione di un sito che segnala i minuti e i secondi dei film in cui un’attrice mostra le proprie parti intime. Quando il ventiquattrenne Ben riceve la notizia che una ragazza con la quale ha trascorso una notte di passione (soprattutto alcolica) è rimasta incinta, gli amici si riveleranno un’ottima spalla su cui appoggiarsi e grazie alla quale poter “ridimensionare” l’accaduto. Anche in questo caso, l’amicizia è una comunità, una confraternita nella quale la goliardia va di pari passo con la solidarietà.
Per quanto riguarda Strafumati di David Gordon Green e In viaggio con una rockstar di Nicholas Stoller si può parlare, a tutti gli effetti, di bromantic comedy. L’amicizia viene descritta come un rapporto a due, che attraversa momenti di grandiosa condivisione e altri di drammatica crisi. Sia Green che Stoller partono da una situazione di convivenza forzata e sviluppano le dinamiche narrative concentrandosi sul graduale e sempre più intenso attaccamento che un protagonista prova nei confronti dell’altro. L’aspetto più interessante è che si tratta di personaggi che, in partenza, non potrebbero apparire più lontani. In Strafumati, Seth Rogen è un “operatore” giudiziario, costretto dal lavoro a spostarsi in continuazione, mentre James Franco è un pusher che trascorre le giornate in casa a fumare e a guardare la televisione. In viaggio con una rockstar, invece, racconta del viaggio da Londra a Los Angeles del talent scout Aaron Green, pragmatico e puntuale, per scortare il musicista Aldous Snow, eccentrico e imprevedibile, impedendogli di perdersi tra droghe e litri di vodka, e garantire la sua presenza sul palco del Greek Theatre. In questi due casi, l’amicizia maschile è una vera e propria relazione sentimentale tra due eterosessuali, caratterizzata da fedeltà e gelosie, ripicche e riconciliazione. Anche nell’ottimo Forgetting Sarah Marshall, l’esordio di Stoller, è possibile riconoscere questa concezione dell’amicizia, che si verifica, in modo particolare, nel momento in cui i due personaggi principali, interpretati da Jason Segel e da Russell Brand, solidarizzano e sfogano le loro frustrazioni, malgrado il secondo sia il nuovo fidanzato della ex del primo. Come a ribadire, nuovamente, che lo scontro tra i due sessi veda indubbiamente la femmina in una posizione dominante, mentre al maschio non resta altro che cercare consolazione in un suo simile.
Arriviamo, ora, ai lungometraggi in assoluto più importanti del cinema di Apatow. Non credo sia inadeguato definire Superbad di Greg Mottola un autentico capolavoro del genere demenziale. L’adolescenza è lo specchio di un’esistenza in cui la trivialità è l’anticamera della sensibilità e delle prime difficoltà della vita. Il linguaggio utilizzato dai due protagonisti Seth e Evan (che non sono altro che i nomi degli sceneggiatori, Rogen e Goldberg) è un codice per riconoscersi, per condividersi e per proteggersi. Entrambi sono geeks, messi ai margini dal loro status sociale. Hanno la possibilità di riscattarsi quando il loro compagno Vogel, un vero disadattato, si procura una carta di identità falsa e, col nome di McLovin, si propone di comprare degli alcolici da portare a una festa organizzata della bellissima Jules. Indimenticabile il finale, quando i due amici fraterni si separano per accompagnare le ragazze che hanno sempre desiderato a fare shopping, seppur tentennanti e timorosi di spezzare il legame indissolubile che li unisce. Agli antipodi, si posiziona Funny People, il terzo film da regista di Judd Apatow. Per la prima volta, i valori dell’amicizia vengono traditi o messi in discussione. Adam Sandler interpreta uno spigoloso attore di successo, che scopre di essere malato di leucemia. Assume Ira, giovane aspirante comico, per scrivergli quelli che crede siano i suoi ultimi testi. A differenza di tutte le altre opere “apatowiane”, il rapporto tra i due non prende mai il volo, anzi è sempre trattenuto, ostacolato da un sottile senso di invidia, costantemente percepibile. E anche i coinquilini di Ira non sono più i simpatici “cazzoni” di Molto incinta ma sfidanti con i quali sentirsi in continua competizione. Può darsi che Funny People rimanga una parantesi nella celebrazione del mito dell’amicizia maschile del cinema di Apatow, ma potrebbe trattarsi anche di una spiazzante svolta, che viene in parte confermata da Le amiche della sposa di Paul Feig, seppur a sfondo femminile. La protagonista Annie viene nominata damigella d’onore per il matrimonio dalla sua migliore amica Lilian, ma le sue certezze cominciano a traballare quando fa la conoscenza di Helen, nuova amica di Lilian, completamente diversa da lei. Annie è imbranata e autoironica, mentre Lilian è perfettina, ricca, bella e pignola. Di nuovo, torna il tema della gelosia nei rapporti di amicizia e, anche se il film è destinato a un rassicurante happy end, rimangono nella memoria le esplosioni di isteria di Annie, delusa dagli uomini e preoccupata di perdere l’esclusività del rapporto con la sua amica del cuore.

Judd Apatow ha rivoluzionato il modo di scrivere e di concepire film comici. Tutti i lavori da lui sceneggiati, diretti o prodotti non hanno come punto di forza le gags o la brillantezza delle battute. Il punto di forza sono i suoi personaggi e le loro caratterizzazioni, la loro credibilità, la loro umanità. Personaggi semplici, che non sono mai eccessivamente forzati, stereotipati nè marcatamente grotteschi. Mi sembra che al centro di questo percorso ci sia il desiderio di “ridimensionare” i problemi della vita (proprio come i personaggi di Molto incinta) per evidenziarne gli aspetti più patetici, teneri e ingenui. Non credo che tutto ciò si sarebbe potuto realizzare se Apatow non si fosse circondato di un fenomenale gruppo di comici (e attori brillanti), affiatato come se si trattasse di una compagnia teatrale consolidata da decenni. Tutti questi attori si danno il turno, interpretando, di volta in volta, il ruolo del protagonista o quello del caratterista. Non posso evitare di citarne almeno quattro: Jason Segel, anche sceneggiatore, volto da gigante buono e stralunato; Jonah Hill, trascinante anti-eroe romantico e sboccato; Paul Rudd, eterno bravo ragazzo dallo sguardo sognatore e malinconico; Seth Rogen, anche lui sceneggiatore, magnifico loser, goffo e generoso, genio comico indiscusso.

Emiliano Dal Toso




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