martedì 17 aprile 2012

Music And Life: Control

I film sulle band musicali e sugli artisti sono spesso molto, quasi sempre troppo, celebrativi; eccessi di droga, eccessi di donne, eccesso di rock'n'roll e poi, misteriosamente, un'innata genialità che porta il protagonista (quasi per predestinazione) a entrare nella storia. La bellezza di questo film sta innanzitutto nel non cadere in questo stereotipo dell'artista dannato che brucia se stesso vivendo per sempre nella musica.Certo, Ian Curtis - cantante dei Joy Division - si è sposato troppo presto, ha avuto un figlio non programmato e si è suicidato a ventitre anni, ma era un ragazzo normale a cui piacevano le donne, le droghe e la musica, proprio come a tutti noi. Un giovane cupo, silenzioso, introverso all'estremo, che ha "solo" il merito di aver tradotto la sofferenza in musica.  La pellicola è quasi un film d'autore: il bianco e nero spezza ogni euforia e misura il film tenendolo sotto l'asticella dell'entusiamo, proprio nel limbo in cui era intrappolato Curtis e, più in generale, come il clima e la routine dell'operaia Manchester anni '70. Numerosi i silenzi, mentre i dialoghi sono pochi e, spesso, anche unilaterali come quello tra i due sposini Curtis, quando la povera Deborah (bene Samantha Morton) capisce che Ian potrebbe avere un interesse per una certa Annik. Parlano molto, invece, le canzoni; testi originali dei Joy Division (bravissimo Sam Riley, che non canta in playback), ma anche Sex Pistols, Lou Reed e il buon David Bowie – del resto il post rock di Curtis e soci nasce proprio dalla fusione di questi tre. Nella narrazione (che è ispirata dal libro di Deborah Curtis Touching from a distance), tutto si complica con l'avvento dell'epilessia, che deprime ulteriormente Ian e ne fa crescere la tensione nei rapporti, rendendo sempre meno sopportabile la vita di Curtis. Il film, tuttavia, continua tale e quale, perché l'epilessia è solo un elemento aggiunto alla sofferenza già presente nel cantante: la malattia la rende irreparabile, ma non ne aumenta (né diminuisce) l'intensità. Pare che ai tempi il regista Anton Corbijn. oltre che fotografo, fosse un fan dei Joy Division e per questo avrebbe scelto di girare il suo primo film su Ian Curtis. Sicuramente la comunicatività della band rimane superiore a quella di Corbijn – nel suo film sono infatti indispensabili le musiche dei suddetti – ma resta comunque un buon film, che aiuta a contestualizzare e, forse, ad apprezzare ulteriormente un piccolo gruppo di musicisti che, pur con soli tre album, ha dato tanto.

Giancarlo Mazzetti


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