"Non, rien de rien
Non, je ne regrette rien
C'est payé, balayé, oublié
Je me fous du passé"
Con l’esibizione di questa canzone all’Olympia del '63, si chiude il biopic-melo di Olivier Dahan su Edith Piaf, una delle più grandi cantanti della musica francese. “Non Je Ne Regrette Rien” ci immerge profondamente nella persona, più che nell’artista, Edith Piaf (tradotto dal francese all’italiano, Piaf = passerotto). Ne emerge una donna tormentata e sfortunata, che ha sempre dovuto barcamenarsi tra falsi amici, alcol e morfina. Il film inizia facendoci vedere la prima tra le tante cadute della Piaf, avvenuta il 16 Febbraio del ’59 a New York. Subito dopo, grazie ad un flashback, si viene catapultati nel 1918 a Belleville, sobborgo poverissimo di Parigi, quando Edith era ancora bambina. In queste poche scene, dapprima scopriamo che la madre è una cantante di strada e poi che il presunto padre è un soldato. Già da questo inizio possiamo capire che la cantante de “La Vie En Rose” non ha vissuto una vera e propria infanzia, ma piuttosto una vita da “grandi”. Momento fondamentale è l'educazione avuta, intorno ai dieci anni, in un bordello gestito dalla nonna paterna. Dove non solo ha avuto una madre nella persona della prostituta Titine, ma ha provato anche per la prima volta, sulla sua pelle, cosa significano le parole sofferenza e malattia. Dopo questa tappa di grande dolore ma anche di crescita, viene prelevata dal padre, che, tornato dalla guerra, riprende il suo vecchio lavoro di saltimbanco e la porta con sé a lavorare in un circo. Affezionatasi al luogo e alle persone, per una sorte di disgrazia voluta dal cielo e a causa di un papà scontroso, è costretta a far ritorno a Parigi, dove per la prima volta la gente si accorgerà della bellezza della sua voce. Successivamente, vengono mostrati i vent'anni di Edith pieni di alcol, frequentazioni sbagliate, la nascita di un figlio che morirà di meningite acuta, i primi successi e la conoscenza di un impresario, interpretato dal bravissimo Gerard Depardieu. Come già accaduto in passato, il destino malvagio bussa e si porta via l’impresario che l’aveva scoperta. Più o meno, il film continua su questa falsa riga tra flashback e flash-forward fino ad arrivare a metà pellicola a una delle scene più belle: la morte improvvisa del pugile da lei amato, apparsale in sogno. Da questo momento inizierà la lenta discesa negli inferi, fatta di morfina e di tanto alcol, fino alla morte a Grasse nell’ottobre del ’63. Quello che però vince sopra tutto e tutti, compresa la regia e la sceneggiatura, è la prova maestrale, sontuosa, magnifica, incredibile di Marion Cotillard che riesce non solo grazie al trucco, ma anche in veste canora ad assomigliare quasi alla perfezione ad Edith Piaf e a renderci in maniera stratosferica la fragilissima cantante.
Luca "Skywalker" Recordati
Non, je ne regrette rien
C'est payé, balayé, oublié
Je me fous du passé"
Con l’esibizione di questa canzone all’Olympia del '63, si chiude il biopic-melo di Olivier Dahan su Edith Piaf, una delle più grandi cantanti della musica francese. “Non Je Ne Regrette Rien” ci immerge profondamente nella persona, più che nell’artista, Edith Piaf (tradotto dal francese all’italiano, Piaf = passerotto). Ne emerge una donna tormentata e sfortunata, che ha sempre dovuto barcamenarsi tra falsi amici, alcol e morfina. Il film inizia facendoci vedere la prima tra le tante cadute della Piaf, avvenuta il 16 Febbraio del ’59 a New York. Subito dopo, grazie ad un flashback, si viene catapultati nel 1918 a Belleville, sobborgo poverissimo di Parigi, quando Edith era ancora bambina. In queste poche scene, dapprima scopriamo che la madre è una cantante di strada e poi che il presunto padre è un soldato. Già da questo inizio possiamo capire che la cantante de “La Vie En Rose” non ha vissuto una vera e propria infanzia, ma piuttosto una vita da “grandi”. Momento fondamentale è l'educazione avuta, intorno ai dieci anni, in un bordello gestito dalla nonna paterna. Dove non solo ha avuto una madre nella persona della prostituta Titine, ma ha provato anche per la prima volta, sulla sua pelle, cosa significano le parole sofferenza e malattia. Dopo questa tappa di grande dolore ma anche di crescita, viene prelevata dal padre, che, tornato dalla guerra, riprende il suo vecchio lavoro di saltimbanco e la porta con sé a lavorare in un circo. Affezionatasi al luogo e alle persone, per una sorte di disgrazia voluta dal cielo e a causa di un papà scontroso, è costretta a far ritorno a Parigi, dove per la prima volta la gente si accorgerà della bellezza della sua voce. Successivamente, vengono mostrati i vent'anni di Edith pieni di alcol, frequentazioni sbagliate, la nascita di un figlio che morirà di meningite acuta, i primi successi e la conoscenza di un impresario, interpretato dal bravissimo Gerard Depardieu. Come già accaduto in passato, il destino malvagio bussa e si porta via l’impresario che l’aveva scoperta. Più o meno, il film continua su questa falsa riga tra flashback e flash-forward fino ad arrivare a metà pellicola a una delle scene più belle: la morte improvvisa del pugile da lei amato, apparsale in sogno. Da questo momento inizierà la lenta discesa negli inferi, fatta di morfina e di tanto alcol, fino alla morte a Grasse nell’ottobre del ’63. Quello che però vince sopra tutto e tutti, compresa la regia e la sceneggiatura, è la prova maestrale, sontuosa, magnifica, incredibile di Marion Cotillard che riesce non solo grazie al trucco, ma anche in veste canora ad assomigliare quasi alla perfezione ad Edith Piaf e a renderci in maniera stratosferica la fragilissima cantante.
Luca "Skywalker" Recordati
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