venerdì 27 aprile 2012

The Rum Diary - Cronache Di Una Passione (voto 4)

La carriera di Johnny Depp si divide in due parti, l'una pre-Jack Sparrow, l'altra post-Jack Sparrow. Nella prima, Depp si è rivelato probabilmente il miglior attore della sua generazione. Lanciato da Tim Burton nell'insuperato 'Edward mani di forbice', ha attraversato gli anni 90 inanellando un ruolo indimenticabile dopo l'altro. Ricordo solo alcune tra le grandi interpretazioni dell'attore americano: l' 'Arizona Dream' di Kusturica, il 'Dead Man' di Jim Jarmusch e, soprattutto, quelle per cui viene maggiormente ricordato e amato, 'Donnie Brasco' e 'Paura e delirio a Las Vegas'. A un certo punto, pareva che Depp potesse fare qualsiasi cosa. Con l'inizio del nuovo millennio, diventato un'icona anti-hollywoodiana, il suo nome ha superato la consistenza dei prodotti cinematografici che lo hanno visto protagonista: 'Blow' e 'From Hell' sono due esempi di film sopravvalutati tra i tanti, sottotono, di questo periodo della sua carriera. Arriva, poi, il personaggio che lo rende un divo universale, divenendo anche un idolo delle nonne e dei loro nipotini: il famigerato Jack Sparrow della serie dei 'Pirati Dei Caraibi'. E qua, arriva il ribaltamento di tutto ciò che rappresentava. Tutto ciò che prima lo rendeva ribelle, anticonformista e imprendibile non esiste più. Ora, è un marchio più che un attore. I suoi ruoli non si sganciano più dallo stereotipo del bello e maledetto, perduti perennemente nella barocca estetica timburtoniana, nell'immagine del dandy tenebroso e sopra le righe. Non l'ho visto ma è come se l'avessi già visto. Negli ultimi dodici anni, un solo grande film: 'Public Enemies' di Michael Mann, uno che sarebbe in grado di far recitare anche Gabriel Garko e Raz Degan. E, ora, arriviamo a questo 'The Rum Diary', che rientra perfettamente nella macchietta contemporanea di Johnny Depp. Il personaggio è quello di 'Paura e delirio a Las Vegas', più annoiato e meno divertente. La qualità sostanziale del film è mediocre. Regia e sceneggiatura sono sotto il livello medio delle produzioni americane. Il minimo lato positivo può derivare dal gusto vintage degli oggetti e delle musiche. Bellissimi occhiali, bellissime macchine, bellissime canzoni, in grado di far rivivere in pieno l'atmosfera portoricana degli anni Sessanta. Johnny è sempre in postumo, con quello sguardo sperduto di chi vorrebbe essere in camera da letto, balconata con vista sulla Tour Eiffel, abbracciato a una modella meravigliosa, piuttosto che su un set cinematografico. D'altronde, è molto più chic tenersi distanti da quei cattivoni di Hollywood, girare soltanto brutti film, per poi prendersela con un'industria che ragiona esclusivamente attraverso il dio denaro.

Emiliano Dal Toso


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